Non poteva essere altrimenti. E’ di neo-progressive rock che si parla, non ci sono dubbi. Al pari di Arena, Pallas e Pendragon, anche i britannici IQ, giunti ormai al loro nono album, puntano fin dalla title-track sulle atmosfere e su ritmi non propriamente veloci. La produzione è perfetta e fa risaltare ogni sfumatura di un suono che non si differenzia molto da quello che caratterizzò il precedente Dark Matter. Forse i fan più attenti del gruppo inglese potranno trovare alcune sensibili differenze rispetto all’ultima prova risalente al 2004, ma la sostanza in realtà non cambia.

Tastiere adimensionali sempre in bella evidenza e chitarre dal tocco elegante impegnate a dettare i ritmi e a scandire gli eventi di questo nuovo lungo viaggio di oltre 60 minuti. La voglia di melodie soavi e di attitudine pop emerge spesso, come in Life Support e nella conclusiva Closer, dove la band mostra di non avere fretta alcuna di arrivare alla fine del discorso, finendo forse per ripetersi un pò troppo a livello melodico e strutturale. Anche perché i brani sono spesso molto lunghi e non è facile per nessuno mantenere alta l’attenzione di chi ascolta, soprattutto quando si parla di un genere come questo. Ed anche se le linee vocali sono piacevoli, in definitiva non risultano quasi mai decisive, forse per una loro intrinseca (magari voluta) omogeneità di fondo. Sarà la semplicità troppo spinta di alcune soluzioni? Inutile negare però che gli IQ, quando ci si mettono d’impegno, sono davvero bravi e dimostrano tutto il valore di una grande band quale essi sono fin dai lontani e gloriosi anni ’80. L’epica Ryker Skies ci sorprende, dopo tanto medio livello, con un basso in apertura di pinkfloydiana memoria, il quale si fa deciso e pulsante e si amalgama alla perfezione con le solenni declamazioni di Peter Nicholls, a dimostrazione che “cambiare”, anche se di poco, funziona. La cosa bella è che quando lo si fa senza strafare, la maestria dei grandi torna a farsi sentire con estrema naturalezza e spontaneità. Intermezzi prog-fusion, parti dall’atmosferica intimità ed anche un pizzico di elettronica. Tutto al servizio dell’emozione, così come nella spettacolare The Province. Qui l’interminabile ha inizio. C’è solo da spalancare il cuore ed è immediato turbinio di sensazioni forti e di riflesse riflessioni. Si fa prog, finalmente. Ed anche rock, con incursioni perfino dei Deep Purple più sincopati e dissonanti. La coesione della band è palpabile, così come lo è l’eccellente prestazione complessiva. Insomma, un pezzo fantastico.

In definitiva, gli IQ tornano sul mercato discografico dopo ben cinque anni di “silenzio” e lo fanno con un nuovo studio album che non deluderà di certo le aspettative degli estimatori della band di Holmes. Gli arrangiamenti sono sempre di altissimo livello e le finiture, per così dire, costantemente di pregio. Forse è il tempo. Sì, questo animale instancabile, che non smette mai di insinuarsi nelle menti e nelle anime di ognuno di noi è davvero l’unico “peccato” degli IQ. Anche se non ci viene offerto nulla di nuovo, anche se non siamo al cospetto di un capolavoro, anche se si tratta sempre dell’ormai “solito” neo-prog rock, non possiamo che promuovere l’ennesima opera di un gruppo che, in quasi trent’anni, del libro di storia di questo genere ha contribuito a scriverne più di una pagina da ricordare. Non dimentichiamolo.

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