Identikit. Nome: George Bellas. Provenienza: Stati Uniti, Illinois. Professione: chitarrista, polistrumentista, compositore, insegnante. Passioni: amante di partiture eclettiche, tempi dispari, assoli improvvisati e poliritmi, senza trascurare l’armonia classica, jazz ed ultra-moderna. Insomma uno shredder moderno indiscutibile, dalle conoscenze tecnico-teoriche inconfutabili. Ebbene sì, va dichiarato: l’occasione è propizia per omaggiare cotanta esuberanza con un approfondito “track-by-track”. Ma come? Soltanto una lunghissima ed estenuante song strumentale di oltre settantacinque minuti? Peccato, anche questa volta mi dovrò accontentare della classica, standard, recensione…

Siparietti a parte, ciò che troverete in questo Step Into The Future non è altro con un continuo, ripetitivo, noioso, pedissequo, prolisso, monotono ed autoindulgente tentativo di coniugare musica strumentale ad ampio spettro, fusion e progressive dal taglio pretenziosamente moderno e psichedelico. Per una più corretta comprensione della materia in oggetto opterei per un (volutamente azzardato) paragone letterario: date una rapida lettura al testo contenuto nel breve racconto “La Biblioteca di Babele”, ad opera dello scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986), uno dei più grandi esponenti della letteratura contemporanea. All’interno di queste poche pagine, l’Universo viene descritto come una biblioteca infinitamente grande, costituita da un numero infinito di libri, all’interno dei quali compaiono casuali sequenze di caratteri, presenti in tutte le loro (infinite) possibili combinazioni. Che sia questo uno dei più fulgidi esempi di “prog letterario”? Credo di sì. Se però esistesse una Biblioteca di Babele per Metallari, sicuramente l’opera ultima di George Bellas finirebbe per restare impolverata sulla famosa Mensola del Dimenticatoio, comunemente indicata all’incauto avventore da frasi del tipo: “laggiù, nell’angolo in fondo a destra, dietro la colonna”. Una tecnicissima e complessa sequenza di combinazioni di note. L’unica, tra le infinite possibili. Casualmente però, priva di alcun senso compositivo. E’ un lungo flusso di elucubrazioni e calcoli matematici messi in musica, talvolta debitori del sound iperdistaccato, dissonante e freddo dei Magellan di Impossible Figures (2003). A tratti più incline al neoprogressive che alla shred music ma comunque lontano anni luce dalla godibilità sonora di album fantastici come Surfing With The Alien (1987), Passion And Warfare (1990) o anche, se volete, Liquid Tension Experiment Pt.1 (1998).

La produzione, (a mio avviso) poco incisiva, e l’atmosfera molto orientata alle recenti depressioni di fine/inizio millennio che permea l’intero lavoro, non aiutano di certo a rimanere vigili per tutta la considerevole durata dell’album. Alla prossima. Per ora, bocciato quasi a pieni voti.

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