Quando si ha a che fare con band metal dalle tinte particolari, molto spesso tutto si basa sul genio e l’intuizione di un uomo singolo. E questo è proprio il caso di Vratyas Vakyas e della sua creatura, i Falkenbach, di cui è colonna portante nonchè fondatore. La band ha all’attivo numerosi demo e un full-lenght, uscito nel 1996, dal titolo di ” …En Their Medh Riki Fara…”, che proponeva un misto di folk, black metal e parti lente e cadenzate, dal sentore epico.
Nonostante i sette anni trascorsi il genere proposto dal gruppo tedesco continua a muoversi su quei sentieri, sebbene il black vero e proprio sia relegato nell’angolino, con alcune sfuriate vocali e nulla più. Quello che i Falkenbach propongono in questo nuovo album è quindi un metal fortemente caratterizzato da parti folkloristiche e a tratti epiche, senza puntare sulla velocità quanto piuttosto sull’atmosfera, utilizzando chitarre acustiche, flauti e tappeti di tastiere.
Impossibile quindi che non venga in mente quel genio delle terre nordiche che risponde al nome di Quorthon, che con i suoi Bathory ha scritto pietre miliari del calibro del noto “Blood on Ice”. E il confronto, pur con le dovute differenze, a mio avviso regge. Certo, i Bathory hanno il merito di aver realmente inventato qualcosa di nuovo, ma ai Falkenbach va dato il merito di aver migliorato alcuni aspetti “tecnici” delle produzioni di Quorthon, senza però nulla togliere dal punto di vista evocativo.
Canzoni come l’opener “Vanadis”, caratterizzata da un flauto quasi andino, oppure “Aduatuza”, nella quale potenti cori anthemici si innestano su una base prettamente heavy, sono ad esempio un perfetto connubio di quanto sopra esposto.
E’ comunque questo un disco che va apprezzato con più ascolti, che si insinua pian piano fino a far entrare melodie, atmosfere, suoni… musica in testa. Quaranta minuti scarsi che vi faranno viaggiare nelle terre nordiche, nella loro tradizione e cultura, o almeno in quelle che a noi piace immaginare.
Consigliato.

A proposito dell'autore

Post correlati