Dopo alcuni anni di pausa, torna alla ribalta il progetto della nostrana Frontiers Records, che vede al microfono due delle più grandi ugole del metal contemporaneo, Russel Allen, dei Symphony X, e Jorn Lande, per cui sarebbe troppo lungo elencare tutti i progetti in cui è coinvolto. Qualcosa di fondamentale è cambiato: a differenza delle tre precedenti, per cui il songwriting era affidato a Magnus Karlsson (Primal Fear, tra gli altri), l’onore e l’onere di comporre musica va a Timo Tolkki, autore negli ultimi anni di progetti completamente privi di ispirazione (vedi Avalon), il cui classico stile sarà evidente lungo tutti i 51 minuti dell’album. Si inizia con Come Dream With Me, e anche non avendo letto i credits, il tocco del chitarrista finlandese è forte e chiaro, ricordano gli Stratovarius o i Revolution Reinassance più malinconici. Il pezzo è molto melodico, il ritmo non è sostenuto, e l’ugola dei due cantanti migliora di certo la riuscita di un brano, musicalmente abbastanza scontato. Buona apertura per un discreto album. Le cose cambiano poco durante tutto l’arco dell’album. L’ispirazione compositiva di Tolkki sembra essere oramai un lontano ricordo, ma questi due cantanti riescono a trasformare in oro qualsiasi cosa tocchino (o meglio cantino) con una prova piena di pathos ed emozione oltre che di sconfinata tecnica e talento. Il pezzo forte degli album sono i ritornelli, quasi sempre accattivanti e piacevoli, con menzione particolare per Down From the Mountain e In the Hands of Time. Le tastiere sono sempre presenti, ma mai invadenti, e danno al disco un tocco di classe, sempre con uno stampo leggermente malinconico. La produzione è perfetta è cristallina, e anche dal punto di vista strumentale la prova dei singoli è solida e precisa, senza strafare. Un pezzo decisamente ottimo è BitterSweet, canzone lenta in cui il cantato di Allen raggiunge livelli espressivi altissimi. Tutto l’album appare ben commissionato, suonato, prodotto, e soprattutto cantato; quello che purtroppo è carente è l’anima. Pertanto il quarto capitolo della premiata ditta Allen-Lande (primo di una seconda trilogia) può essere considerato un buon punto di partenza, un lavoro con buona classe ma abbastanza manieristico, inferiore ai precedenti tre lavori firmati Karlsson.

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