Con “British Steel”, sesto disco in studio della loro ineguagliabile discografia, i Priest proseguivano il discorso iniziato due anni prima col brillante “Killing Machine”, trasformando progressivamente il sound piu’ elaborato e magniloquente avuto fino a “Stained Class” in brani più brevi, potenti e d’impatto immediato. Non ci è dato sapere se questa evoluzione fosse dovuta ad esigenze commerciali o se fosse conseguenza delle mutate condizioni sociali e musicali, e neanche tutto sommato ci interessa saperlo, quel che conta è che fu questo disco più dei contemporanei ed altrettanto immensi “Heaven And Hell”, “Back In Black” o “Iron Maiden” a scardinare tutte le convinzioni e regole del music business di allora e a fissare i nuovi canoni del genere.

Abbandonate le interpretazioni più ampie e libere, dal suono multiforme e irregolare, bellissime ma sicuramente poco immediate, Halford e soci riuscirono nell’impresa di creare un album tanto melodico e commerciale quanto d’impatto ed heavy, fissando le basi dei Priest a venire: un suono grezzo e ruvido ma anche estremamente curato (veramente mirabile qui l’opera di Tom Allom), la solita voce stratosferica di sempre, capace di saltare con irrisoria facilità tra le alte e le basse tonalità e di aggredirti dove necessario, una coppia di chitarristi immensi, dal riffing corposo e profondo e dal solismo preciso e potente, una base ritmica essenziale ed irrefrenabile.

Se “Rapid Fire” è un fiume in piena che ti travolge all’improvviso, se la splendida “The Rage” è uno sperimentale e riuscito connubio di reggae e metal, se “Metal Gods” è uno dei pochi brani cadenzati che davvero tutti conoscono e vorrebbero avere la fortuna di comporre, furono comunque le più famose ed accessibili “Living After Midnight” e “Breaking The Law”, piazzate strategicamente all’inizio di ogni facciata della versione in vinile, a garantire al disco una diffusione radiofonica nemmeno immaginabile prima di allora (entrambe riuscirono a raggiungere la dodicesima posizione delle charts inglesi) e con l’anthemica “United”, studiata per un coinvolgimento obbligato del pubblico ai live, favorirono un’assimilazione rapida e naturale del disco anche tra gli ascoltatori occasionali.

Con “British Steel” i Priest “classici”, quelli di “Beyond The Realms Of Death” per intenderci, non ci sono più, e con essi uno dei modi di concepire il metal. Al loro posto il punto di riferimento di tutto il nuovo movimento. Mica poco.

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