Il 2062 è l’ultimo anno di pace per gli abitanti dell’Universo. Una guerra interplanetaria ha interrotto il naturale scorrere del tempo e della storia così come a noi nota e tutti i pianeti conosciuti vengono forzatamente riuniti sotto l’egida tirannica della “Stella Rossa della Federazione Solare”. E così sarà per molti anni a seguire. Nel 2112 (twenty-one twelve), il governo computerizzato dei “Preti dei Templi di Syrinx” ha definitivamente consolidato il proprio capillare controllo su ogni aspetto intellettuale, morale ed artistico della vita dell’uomo, parafrasando antiche storie di orwelliana memoria, e sembra che nulla ormai possa più sovvertire questo innaturale ordine imposto. Anche le trame strumentali sintetiche di chiara matrice hard progressive (Overture, The Temples Of Syrinx) se ne accorgono ed il despotismo del futuro viene pentagrammato con trovate ritmiche spigolose e spettacolari, forse mai ascoltate prima, accompagnate dalle vocals di un Geddy Lee divinamente ispirato. La tensione è altissima, anche perché al di qua delle casse, in quello spicchio di infinito ai più noto come Terra, si sta per assistere alla definizione di una serie di archetipi fondamentali per lo sviluppo del progressive rock che verrà ma soprattutto per la delineazione delle basi stilistiche di un genere che, circa vent’anni dopo, sarà definito e conosciuto con il termine “prog metal”.

Ma è a questo punto che un inconsapevole “eletto” viene casualmente a conoscenza di un oggetto proibito, una chitarra, dalle cui corde possono essere emessi semplici suoni così come soavi polifonie (Discovery). Finalmente un nuovo metodo di espressione, libero, privo di costrizioni e di qualsivoglia controllo, ma di fronte a questa nuova scoperta, retaggio di un passato migliore, i sacerdoti di Syrinx non possono che opporsi con fervore (Presentation), manifestando con aggressività il proprio dissenso, in un continuo e superbo alternarsi di sonorità che assemblano idealmente il folk rock ante-litteram dei Led Zeppelin con l’imprevedibilità ritmica delle scorribande asimmetriche della coppia Peart-Lifeson, tipiche del prog tecnico di band come King Crimson e Yes.

Tramite un’apparizione onirica, l’oracolo rivela all’eletto (rappresentato iconograficamente dallo “Starman”, un corpo nudo, emblema della purezza e della creatività dell’uomo ideale, contrapposto alla stella rossa, che identifica la costrizione di una mentalità collettivista, la massa) la notizia che un manipolo di dissidenti era riuscito a fuggire anni prima alla tirannia della Federazione Solare, rifugiandosi in una terra nascosta e sconosciuta. E lì dove la libertà di espressione regna ancora sovrana, procedono decisi i preparativi per la rivoluzione contro l’ordine costituito, che avverrà un giorno, forse, nel futuro (Oracle: The Dream). Ma la grinta e la positività lasciano musicalmente spazio alla malinconia dell’introspezione (Soliloquy), tramite la quale l’eletto, tristemente assurto al ruolo di eroe astratto, osserva nelle profondità del suo sè, scoprendo di non potere più sopportare l’oramai nota manipolazione e la pesantezza dell’essere in quanto tale. Ma è il proto-prog metal del fantastico Grand Finale (Images And Words nasce idealmente dai due minuti di questa sezione) che riporta aria di cambiamento ed una nuova speranza di salvezza…

“Attention all planets of the Solar Federation: We have assumed control”.

Cosa resta dopo una suite magniloquente, compositivamente innovativa e strumentalmente eccezionale come questa? Altre gemme, altri piccoli capolavori, capaci di riassumere in un modo mai così completo come questo l’assoluta genialità del power trio canadese. Dal potente riffing intarsiato di Oriente della hit “A Passage To Bangkok”, passando per le delicate esigenze acustiche di “The Twilight Zone” e della folkeggiante “Lessons”, fino ad arrivare alla sentita “Tears”, misurata ballad di rara intensità e bellezza. Ma è all’originale hard prog della briosa “Something For Nothing” che viene lasciato il ruolo di chiusura di uno tra i più importanti album della storia del rock progressivo mondiale. Un testamento eterno, inarrivabile. Un messaggio tutto da decodificare per le future generazioni di rockers e metalheads dalle mire sincopate (Dream Theater e Fates Warning su tutti), che sapranno farsi notare negli anni d’oro del progressive metal della decade a cavallo del nuovo millennio.

Non basterebbero duemilacentododici parole per descrivere il quarto album firmato Rush. Né basterà una seppur ragionata analisi critica a rievocarne l’essenza più vera. Questa è storia.

Ascoltate, gente. Ascoltate.

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