Forti di un artwork di rara bruttezza, un monicker scontato ed un titolo di pari portata, i Bible Of The Devil non sono certamente la classica band da amore a prima vista. Niente di compromettente se la lista dei difetti di ‘The Diabolic Procession’ si fermasse ai due appena citati, senza sprofondare in scelte di gusto quantomeno opinabile. Ciò che ci propinano i quattro musicisti statunitensi, invece, a dispetto di ogni speranza, è un disco che offre spunti positivi sporadici e rintracciabili con molta volontà.

Il sound della formazione in oggetto, al quarto full-lenght della propria carriera, si presenta come un heavy-metal mulisfaccettato la cui idea di base è tutt’altro che malvagia ma che non riesce quasi mai a decollare verso qualcosa di concreto. Il fulcro centrale della proposta ruba a piene mani dalla NWOBHM con riff e melodie di terza mano che trovano il proprio neo non tanto nell’originalità carente quanto in un modo di mutare e deviare francamente inconcepibile. Il piano dei quattro ragazzi di Chicago sarebbe, infatti, quello di coniugare agli elementi già citati quell’attitudine stradaiola tanto in voga oggi e particolarmente debitrice ai Motorhaed, spruzzando qua e là la proposta con influenze “sabbiathiane”. Progetto sulla carta interessante ma che, nel caso specifico del lavoro analizzato, non trova successo. I problemi sono tutti nell’incapacità dei Bible Of The Devil nel sapere legare gli elementi dei brani più variegati offrendo spesso momenti di confusione addirittura irritanti. E’ il caso dei primi brani, i più audaci, in cui si passa da twin guitars maideniane ad un rock’n’roll marcio con un’agilità pachidermica che transita per assoli davverò incredibili per la propria inadeguatezza al quadro sonoro creato. I tentativi ci sono, i sussulti no e, cosa che dovrebbe far riflettere non poco la band, con lo scorrere della tracklist il disco tende a migliorare col calare della pretenziosità. I brani si fanno più lenti, spesso omaggiando i già citati Sabbath, crescono di pathos, intensità e capacità di coinvolgere senza inventare niente. Una crescita notevole, inopinabile ma incapace di rendere l’album un prodotto consigliabile e sintomo della palese confusione di una band che, al quarto album, avrebbe esperienza e bagagli per cominciare a suonare in modo differente.

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