Quinto album per gli svedesi Andromeda, band che nel corso di quasi un decennio on the road si è ritagliata uno spazio importante nel panorama Prog mondiale. Un ritorno molto sentito ed atteso, avvenuto già a settembre negli U.S.A. e un po’ più in ritardo qui da noi. Un disco, occorre sottolinearlo subito, estremamente diverso da quanto ci avevano proposto nei precedenti lavori i cinque vigorosi ragazzi scandinavi. Si, perchè la vena prog è sempre viva e presente, ma in diverse song viene mescolata a momenti di puro Heavy Metal, andando a creare un mix a tratti affascinante, a tratti un po’ confusionario.
“Recognizin Fate” ci apre subito le porte del disco con un esempio di quanto appena riportato: uno schiaffo che farà male a chi si aspettava come brano di apertura il naturale e puro progressive cui la band ci aveva abituato. Toni cupi, violenti, oscuri, ritmi cadenzati ma veloci sorprendono l’ascoltatore, in particolare chi come me aveva apprezzato il precedente lavoro, quel “Chimera” che mi aveva fatto emozionare nella sua concreta semplicità e linearità. Le cose tornano a posto con il secondo brano, “Slaves Of The Plethora Season”, dove le tastiere tornano a prendersi il loro spazio, cosa che accadrà anche per le parti di sinth a partire dalla seguente “Ghost on Retinas”. Song tutte molto lunghe, sopra i cinque minuti, la maggior parte sopra i sette, certo non brillano per originalità, soprattutto quando la matrice della song è di pura appartenenza dei Dream Theater, ma la tecnica di questi cinque musicisti non si discute, in particolare il drumming preciso ed efficace. Dopo la particolare “My Star” (in cui si torna invece sugli spartiti del brano di apertura, dunque molto più metal aggrssivo e molte meno atmosfere) ci si avvia al gran finale. E qui invece nulla da ridire: la ballad “Shadow Of A Lucent Moon” impiega tre minuti e mezzo per decollare ma quando lo fa diventa uno splendido brano atmosferico, una sorta di break prima dei 17 minuti e mezzo della conclusiva “Veil Of Illumination”. Ora, io ammetto di non essere particolare fan di questa consuetudine di moltissimi dischi progressive, del brano lunghissimo (e troppo spesso ripetitivo) inserito nel cd come puro esempio di tecnica e autocompiacimento della band di turno, ma questa volta è proprio questo a innalzare di almeno un voto la valutazione del disco in questione: diciassette minuti di puro spettacolo e tecnica, con ancora il drumming cattivo e velocissimo a giocarsi il ruolo di protagonista delle scene con parti di keys (ottimo anche Martin Hedin in questa veste) per uno spettacolo di musica che parte molto lento e cadenzato, quasi doom, per poi crescere ed esplodere, per tornare poi lento e nuovamente esplodere, in un susseguirsi di differenti atmosfere, di diversi ritmi e partiture a incrociarsi in un grogiuolo di grandissima musica, tanto da far esclamare, dopo tanta libidine “Bhè, ma è già finito?” Peccato che diverse parti dell’album non abbiano goduto della medesima attenzione e dello stesso ardore compositivo. Ma tutto sommato per questi Andromeda ancora una relase molto positiva.

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