I Sadist sono tornati con un nuovissimo album dal titolo “Season In Silence”. Viscerale concept sulla stagione più fredda, il disco si fa assaporare per la sua genuinità e per il suo gusto negli arrangiamenti mirati esclusivamente a far sentire l’ascoltatore avvolto nella gelida morsa dell’inverno. Ma questo è anche il settimo disco di una formazione che, dai tempi della sua reunion, ha collezionato l’ennesima vagonata di consensi ed il carismatico quanto disponibile frontman della band genovese ha accettato di farsi interrogare sulla sua vita personale e sulle avventure di un collettivo che non smette (e speriamo non smetterà mai) di regalarci emozioni in ambito estremo.

Chi è Trevor da Rossiglione (Ge), in cinque parole?
È una persona che ha dedicato e dedica la sua vita al metal, che ama alla follia appunto il paese di Rossiglione e che cerca di fare di tutto per promuovere il paese, ma non perché qualcuno gliel’ha detto, ma per il suo amore viscerale per le sue terre. Tant’è che il nuovo album a firma Sadist è frutto di due anni di fotografie scattate ad ogni nevicata ed è incentrato tutto sulla neve, visto che volevo che si parlasse un po’ di questi posti molto freddi e ricchi di fascino. Sono luoghi dei quali non riuscire mai a fare a meno, ecco. Rossiglione poi è un paese a misura d’uomo, esattamente come dovrebbe essere un luogo per permetterti di vivere nel migliore dei modi. Sicuramente chi vive in città potrà giudicarmi un pazzo, però a me piace così.

Cosa ha rappresentato per te, da ragazzino che cresceva nella minuscola e montana Rossiglione, l’heavy metal?
Beh, innanzitutto c’è una bella differenza tra Rossiglione e la non lontana Genova, dove il progresso arrivava in maniera diversa. Avendo 40 anni ho vissuto gli anni ’80 e con essi il fiorire dell’heavy metal e del punk, quindi della trasgressione, e vivere in un piccolo paese rende più difficile l’accettazione da parte della gente. Per fortuna in quel periodo avevo una compagnia formata prevalentemente da metallari, quindi gente con i pantaloni stretti in fondo, le borchie ed il giubbotto di jeans pieno di toppe dei Metallica piuttosto che degli Slayer o degli Iron Maiden. Senza fare il nostalgico, ti dirò che quei momenti mi mancano anche se poi sono arrivati i Sadist, è arrivata la professione con la musica legata non solo ai Sadist, ma anche a Nadir Music e tante altre cose. Se dovessi pensare di essere oggi un impiegato, un taglialegna o un operaio e di aver abbandonato il mondo della musica come ha fatto tanta gente che è cresciuta con me, sarebbe veramente dura. Ho avuto la fortuna di rimanere sempre nell’ambiente, ma quei momenti vissuti sono veramente qualcosa di unico e di stupendo.

Oggi a 40 anni, cos’è che ti fa amare ancora l’heavy metal?
È difficile da dire a parole, ma direi che si può riassumere con un solo vocabolo: passione. Se parlo da ascoltatore ti dico che ciò che mi fa amare questa musica è un riff di chitarra, piuttosto che la doppia cassa della batteria piuttosto che un ritornello di una canzone. Ma se parlo da musicista allora ciò che mi fa amare questa musica è il palco.
Nonostante tutto quello che si dica dei genovesi, cioè che siamo attaccati ai soldi e che siamo tirchi, se uno sceglie di fare death metal e, nella fattispecie, death metal tecnico vuol dire che al denaro non ci devi nemmeno pensare lontanamente. Quello che veramente ti da qualcosa in più è la gente, il vedere che le persone ti acclamano e gridano il tuo nome. Sono queste cose che ti ripagano di tutto quello che fai, non c’è soldo che tenga. C’è da dire infatti che se riesci a portare a casa già solo quanto basta per pagarti le bollette sei un uomo molto fortunato, ma appunto il calore del pubblico ed il vedere apprezzato il tuo lavoro è una cosa assolutamente impagabile.

Nella musica dei Sadist non c’è solo metal, ma anche jazz e blues. Ascolti anche altra musica oltre al metal? Essa influenza la tua composizione?
Il metal di fatto è un derivato del blues. Da Elvis e Jimi Hendrix è partito tutto e se ci sono i Cannibal Corpse si deve anche ad Elvis e nemmeno troppo paradossalmente. Comunque, se parliamo della musica dei Sadist e dei quattro componenti del gruppo, ognuno di noi ha gusti musicali differenti, anche se la matrice comune a tutti è quella della frangia più estrema del metal (thrash e death in primis). Ad esempio Andy ha un modo di suonare atipico per il metal, sia come tecnica che come strumentazione grazie ai suoi bassi a 6 corde a corpo unico artigianali. Lui ascolta molto Jaco Pastorius ed Alain Caron e ha suonato molto anche con gruppi jazz, come anche Alessio, che è uno che continua a studiare moltissimo per migliorarsi col suo strumento e che ha diversi side project con dei batteristi jazz. Tommy, invece, ha un’anima più prog anni ’70 di matrice gobliniana ed unendo tutte queste influenze è venuto fuori il sound dei Sadist che, senza alcun tipo di presunzione e senza nulla togliere a nessuno, credo abbia una forte identità. Spesso parlando dei Sadist la gente ci inserisce nel filone del death metal tecnico con band tipo i Pestilence o i Cynic, ma secondo me siamo ancora diversi.
Per quanto riguarda me, sicuramente ho gli ascolti più metal di tutti, tant’è vero che, tolto forse la batteria, la parte più estrema della nostra musica è la voce. Io provengo da un background prevalentemente thrash e l’unico tatuaggio che ho di una band che non sia la mia è quello dei Kreator, gruppo che amo alla follia. Però ci sono anche i Carcass, i Cannibal Corpse e così via, ma anche gruppi degli anni ’80 che non erano affatto metal come i Police, i Depeche Mode e, andando più indietro, Marillion e Genesis. Sono tutti gruppi che credo siano stati fondamentali per noi.

Che differenza c’è tra l’ispirazione che ti guida nei Sadist e quella per gli Allhelluja?
Non me ne voglia nessuno, però per me la mia vita è: la mia compagna, la famiglia ed i Sadist, che includo in effetti nella mia famiglia e per me i Sadist hanno la priorità su tutto. Allhelluja è stato un progetto a cui ho partecipato con gioia, con il massimo della professionalità e con molto piacere, perché comunque ne fanno parte Stefano Longhi (batterista, nda), Roberto dei Gory Blister ed altri due grandi amici come Gl Perotti e Tommy Massara (voce e chitarra degli Extrema, nda). Si è trattato di un bellissimo side project e di un disco piacevolissimo da ascoltare, essendo frutto di musicisti molto diversi tra loro e che hanno mischiato le proprie influenze per arrivare ad un risultato particolare. Però, senza nessuna critica o bestemmia, non posso sentire gli Allhelluja miei come sento i Sadist. Questo non vuol dire che se ci sarà un’altra chiamata da parte degli Allhelluja, come spero sarà, non mi farò trovare pronto, anzi! Mi piacerebbe, però, portare anche questa band dal vivo, visto che tanta gente ce lo chiede e che credo che fare un disco e poi non finalizzarlo con delle date non sia giusto e non renda giustizia al progetto.

Che fine hanno fatto, invece, i The Famili? Ci sarà mai spazio per un altro disco di questa band?
Il progetto The Famili è un po’ il fratello minore dei Sadist. Finché quest’ultimo non è ripartito è stato diciamo un “bello scherzo” che però non voleva essere uno scherzo, ma il riaffacciarsi alla nostra musica, mia e di Tommy. A quel tempo avevamo chiuso, ma non a chiave, la porta dei Sadist ed era giusto prendersi una pausa, durata poi cinque anni. Io e Tommy, ma anche tutti gli altri, siamo molto legati anche al di fuori della situazione della band. Amiamo vederci anche fuori dall’ambito musicale, ma avevamo bisogno di ritrovarci anche musicalmente, al di là dell’amicizia che comunque ci lega e così è nato il progetto The Famili. Il problema ora è che, da quando sono ripartiti i Sadist, per fortuna le cose hanno preso una piega talmente buona che pensare adesso di avere un side project importante non è banale. Così ci siamo detti che vediamo quando avremo un po’ più di calma se si potrà fare, anche se mi auguro che questa calma non arrivi mai. Certo, mi piaceva molto salire sul palco riesumando film come “Non Aprite Quella Porta” con tanto di motosega piuttosto che “It” con il costume del clown Pennywise, cose che con i Sadist non posso fare perché sarebbe fuori luogo. Diciamo che ci prendevamo meno sul serio, ecco.

Parlando invece del nuovo disco dei Sadist, come lo descriveresti?
In un’unica parola: metal. Siamo molto soddisfatti e sta andando molto bene, ma ripeto che se si pensa che l’andar bene voglia dire vendere e farci dei soldi, si parte già male col ragionamento. I riscontri sono decisamente altri: il fare interviste per tutte le riviste più importanti, vedere che ti chiamano a festival quali il Brutal Assault, al MetalCamp ed al Gods Of Metal. Certo, vendere tanto può far piacere, ma solo perché tanta gente ascolta la tua musica, non per altro, e comunque i risultati di vendita attuali non sono assolutamente incoraggianti perché se vendi 3000 o 5000 copie sei già uno che vende parecchio, mentre 15 anni fa dischi come “Tribe” o “Crust” le 15000 copie le hanno raggiunte, ma stiamo parlando di un periodo differente e adesso quello che ottieni son proprio solo 3 castagne secche…

Trovo che siate riusciti, all’interno di “Season In Silence”, ad allargare ancora di più il vostro spettro sonoro, pur riuscendo a mantenere un filo conduttore ben definito. Come si è svolto e quanto è durato il processo di composizione?
“Sadist” è uscito nel 2007 ed a cavallo della sua uscita abbiamo suonato parecchio dal vivo, rischiando anche delle volte di andare alla saturazione. In Italia non si può pensare di fare 50 date di fila, quando se ne fanno 10 si è già addirittura oltre, così abbiamo deciso di fermarci un attimo per non ottenere l’effetto contrario a quello da noi voluto. Da allora in poi ci siamo concentrati su quelli che sarebbero poi divenuti i nuovi brani, lavorando praticamente dal 2008 fino a poco prima dell’uscita prendendoci i nostri tempi e procedendo con assoluto relax. Così abbiamo deciso di staccare la spina e di non suonare dal vivo per studiare i pezzi nuovi, altrimenti avremmo rischiato di fare male sia una cosa che l’altra e la concentrazione è fondamentale in un ambito come quello della composizione.

In molti hanno paragonato questo disco al debutto dei Sadist, “Above The Light” nel quale tu non eri ancora presente. Pensi che il confronto stia in piedi?
Sicuramente chi ha fatto questo paragone ci ha visto abbastanza giusto perché, nonostante non ci sia stata una pianificazione a tavolino, è venuto fuori un disco che assomiglia per certi versi ad “Above The Light”, soprattutto per il fatto che emergono molto le tastiere e per il riffing thrash che ricorda appunto quel lavoro. Quando ascoltai per la prima volta “Above The Light” rimasi sbalordito perché era qualcosa di nuovo, che nessuno aveva mai tentato. Ai tempi mettere le tastiere in una musica così estrema non era una cosa banale, non c’era nessun altro gruppo che faceva cose del genere, e non lo dico per vantarmi perché, come hai detto tu, io in quel disco non c’ero ancora, quindi dicendo queste cose non ci guadagno niente.
In generale quello che cerchiamo di fare è comunque cercare di essere innovativi, per quanto lo si possa essere nel 2010, e mantenere l’identità che ci siamo costruiti negli anni, poi avere sempre l’idea geniale, se mai l’hai avuta, non è semplice

Com’è nata l’idea di “Bloody Cold Winter”, canzone che, al contrario di ciò che dice il titolo, sembra essere la più “calda” del disco, complice anche l’inserimento di melodie orientali?
Noi negli ultimi due dischi abbiamo lavorato con Dado Sezzi, un musicista eccezionale, ed il brano che hai citato risulta certamente come un dei più caldi a livello di atmosfere, perché comunque l’inserimento di percussioni rimanda alle popolazioni tribali africane ed asiatiche. Quella di inserire la contraddizione del concept sul freddo ed un brano così caldo è stata una scelta precisa, nonostante abbiamo cercato comunque di centellinare l’utilizzo di questo tipo di accostamento. Se uno ascolta “Sadist” del 2007 e lo confronta con “Season In Silence” ci si può accorgere che quest’ultimo è meno tribale, meno etnico proprio perché ci sono meno percussioni, ma più strumenti “classici”.

È palese che il concept lirico dei brani contenuti in “Season In Silence” sia riferito all’inverno. Come mai questa scelta?
Intanto il freddo e l’inverno sono legati ai posti dove abito e dove vivo. Se mi cerchi da quelle parti è probabile che io sia su per un bosco col mio cane che contemplo un albero, ma non perché io voglia fare lo strano, ma perché è veramente così. Per me pensare ad un posto senza natura, con lo smog delle grandi città e con questi ritmi frenetici non è concepibile. Tornando alla domanda, tutte le stagioni hanno un fascino incredibile, ma l’accostamento tra il freddo e la nostra musica è perfetto. Tieni conto che sia l’inverno, il silenzio, la neve ed il metal hanno qualcosa di inquietante insito in sé stessi, quindi era un matrimonio che si doveva necessariamente fare.

Trovo che il tuo range vocale si sia ampliato moltissimo e le linee contenute nel nuovo disco ne sono una conferma. Hai dovuto lavorare molto per arrivare a questo risultato?
No, è stata una cosa naturale. Diciamo che ho fatto quello che sono in grado di fare e mi fossi cimentato in linee melodiche avrei fatto ridere. Alla fine sono un cantante death metal, mi piace sperimentare su parti più cavernose piuttosto che parti più scream o urlate e il rapporto che c’è tra gli ultimi due dischi dei Sadist è che l’omonimo era incentrato di più su parti alte, quindi appunto scream, mentre per “Season In Silence” il range vocale si ripartisce equamente tra alti e bassi con anche molta più di interpretazione.

Forse questo è accaduto anche perché i temi li senti parecchio tuoi…
Esattamente. Questo è un disco che sento molto mio, avendo curato l’artwork, le liriche ed il concept. Per questo probabilmente ho dato un’interpretazione maggiore alla mia performance.

Ti andrebbe di descrivere gli album dei Sadist in due parole ciascuno?
“Above The Light”: originale ed incosciente.
“Tribe”: melodico e tecnico.
“Crust”: violento e sperimentale.
“Lego”: immaturo e controverso.
“Sadist”: l’arrivo.
“Season In Silence”: completo e cattivo.

Veniamo per un secondo all’argomento “Lego”: cosa pensi oggi di quel disco?
Vedi, se “Lego” fosse uscito in un periodo differente e sotto un altro nome, tipo The Famili, avrebbe accolto pareri differenti. Uscendo sotto nome Sadist non è piaciuto, ma è anche giusto così perché la gente dai Sadist vuole dell’altro. Ora lo comprendo, ma quand’è uscito 12 anni fa mi incazzai parecchio per il fatto che non piacque. Poi ho pensato a quando presi “Renewal” dei Kreator o il “Black Album” dei Metallica ed una coltellata in una gamba mi avrebbe fatto meno male di quei due dischi, poi a posteriori ti rendi conto che sono dei gran bei dischi. Ricordiamoci che quando uscì “Somewhere In Time” dei Maiden sembrava che avessero trucidato le madri dei fan perché c’erano le tastiere, eppure è uno dei dischi migliori degli Iron Maiden, ma ci sta perché il pubblico non vuole troppi cambiamenti. E allora vuoi dare sfogo ad altro? Fai un side project, così come abbiamo fatto noi coi The Famili, ma queste sono cose che capisci dopo, in quel momento non ci pensi ed allora ragioni in modo diverso. Quello che dico sempre è che comunque, senza “Lego” non sarebbe mai potuto uscire “Sadist”, cioè uno dei dischi preferiti di chi ci ascolta.

Alcune date per la promozione dell’album sono già confermate, mentre manca all’appello un tour vero e proprio. Quando potremo vedervi su un palco da headliner?
È presto adesso, bisogna fare ancora tanta strada e l’importante è essere consci di fare le cose nel migliore dei modi, con tanta determinazione e con tanta umiltà. Ci sono state fatte delle proposte comunque, ma si tratta di cose che partirebbero a fine settembre e bisogna sempre tenere in considerazione che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, non per usare retorica, ma è la verità. Non dico questo perché la gente non è di parola, ma perché è un mondo difficile e c’è crisi dappertutto, figuriamoci in quest’ambiente. Queste proposte che ci sono state fatte riguarderebbero un tour molto interessante, prima nei Paesi dell’Est e poi in Europa, ma da qui a dire che si farà di certo ce ne passa.
Essendo anche coinvolto nell’organizzazione di tour per altre band tramite Nadir Music vedo come funzionano le cose e l’unico consiglio che mi sento di dare ai gruppi giovani è quello di essere disposti a farsi il mazzo. Se lavori bene, i risultati arrivano, ma non solo in quest’ambito, e devi esser pronto anche a mangiare tanta merda. Non funziona che metti su una cover band, prendi 150 euro a testa per una serata e sei a posto perché credi di aver fatto due soldi, non è quella la musica.

A Rossiglione sono piombati due magnifici festival, Metal Valley e A Cold Night In Hell. Sei soddisfatto di queste imprese? Come ti è venuto in mente e quali risorse hai avuto a tua disposizione per trasformarle in realtà?
Intanto hai usato la parola “impresa” che calza a pennello perché sono state vere e proprie imprese, specialmente per la seconda occasione perché eravamo letteralmente sommersi dalla neve e il giorno dopo, mentre eravamo in albergo con gli Obscura, il termometro segnava -18° C. Onestamente sono stati comunque molto belli tutti e due i festival, anche perché non bisogna pensare a quello che ha venduto più biglietti o meno perché una volta che organizzi cose del genere devi farlo con la consapevolezza che può andare bene (rientrare delle spese) oppure male (perderci dei soldi). Metal Valley è andato bene, c’è stata una bellissima cornice di pubblico, mentre per Cold Night In Hell siamo stati castrati da subito dal maltempo. Quei giorni ha nevicato non solo a Rossiglione, ma un po’ in tutto il Centro/Nord Italia e quindi è andata male solo per quel motivo. Non esiste il discorso che ti fanno tanti gestori di locali, cioè che se la serata è andata male, allora le band vengono pagate di meno perché lo stesso discorso deve anche essere fatto dai gruppi che, se è andata bene, vanno pagati di più.

Sempre per quanto riguarda questi due festival, ci saranno delle prossime edizioni?
Prima ho visto due ragazzi girare con la maglietta del Metal Valley (l’intervista si è tenuta il 5 giugno 2010, in occasione della data dei Megadeth che vedeva i Sadist come special guest, nda) ed è una cosa che mi ha fatto un piacere immenso. Non vogliamo ancora dire che quest’anno non si farà, ma in realtà lo sappiamo già. Siamo arrivati a giugno ed io che faccio anche ufficio stampa e promozione so bene quanti mesi prima mi devo muovere per organizzare un evento di questo genere. Il festival non si fa non perché sia andato male o cose simili, ma perché c’è un problema di fondo: tutti i week-end siamo in giro con i Sadist. Ed essendo tre dei soci manager, chitarrista e cantante della band, non puoi far fare questo lavoro ad altre persone, e questo è un bel problema che magari ci fosse tutti gli anni, eheh! Gli unici week-end disponibili non andavano a collimare perché uno è quello del Wacken, e non sono così fuori di testa per darmi la zappa sui piedi ed organizzare il tutto durante il Wacken, mentre l’altro è quello della festa patronale del paese, che è comunque una festa religiosa e portare un migliaio di persone con croci rovesciate e magliette con teste di caproni sarebbe stato poco carino. Ma poi bisogna anche considerare i servizi che dai alla gente: parcheggio, albergo e cose del genere durante la festa patronale sono difficilmente disponibili, quindi anche quella data è tabù.
Ora come ora stiamo vedendo di far slittare il tutto a fine settembre/metà ottobre, anche se c’è il rischio di andare a toccare di nuovo una stagione in cui può succedere di tutto. Inoltre stiamo valutando con gli enti quali sindaco e carabinieri piuttosto che croce rossa, di far svolgere il tutto nel campo sportivo sito sull’altura del paese, in un’area verde che diventerebbe il MetalCamp dei poveri con il campeggio sopra, i laghi sotto e la pineta dove si svolgerebbero i concerti. In una location del genere sicuramente il festival avrebbe occasione di crescere e di fare un effettivo passo avanti.

Come fai a trovare l’energia e la voglia per seguire tutto? Dormi la notte?
A dire la verità non sono un grande amante del sonno e sono sempre l’ultimo a chiudere occhio ed il primo a svegliarsi. Non so, forse sono malinconico, ma mi sembra quasi tempo perso dormire. Le energie per fare tutto le trovo perché ho voglia di farlo, ma mentirei se dicessi che non sono stanco visto che gli anni ed il peso ci sono. Però mi piace essere impegnato, soprattutto per la band che ne riceve parecchio ed io credo tantissimo in essa, quindi ci metto tutto quello che ho.

Se dovessi menzionarne uno solo, qual è per te il più importante valore, nella vita?
Gli obiettivi. Avere degli obiettivi, di qualsiasi tipo, ti fa vivere bene ed il vivere senza obiettivi non porta da nessuna parte, crea una vita veramente povera.

Ti consideri religioso? Se sì, in chi/cosa credi?
Io credo che nei momenti di bisogno siamo tutti religiosi, poi ognuno lo è a suo modo, ma ne sono convinto.

Come ti senti quanto cacci dentro al microfono il tuo poderoso (e ormai famosissimo) ruggito?!
Sembra quasi un urlo di battaglia, ma in realtà non è altro che un grido di gioia. Vedere la gente che risponde e che mi vuol bene è un’emozione incredibile che non si esaurisce mai. Ogni volta che salgo sul palco è così, mai in misura minore rispetto alla precedente.

Un saluto ai lettori di heavy-metal.it?
Più che un saluto, un consiglio a voi che scrivete su heavy-metal.it: continuate così. Senza il ruolo degli “addetti ai lavori” non ci sarebbe promozione per le band, quindi siete una categoria fondamentale, un anello della catena “musicista-addetti ai lavori-pubblico”. Forse ci vuole ancora più passione che nel fare il musicista perché non c’è la soddisfazione del palco per un giornalista, spesso non si sa nemmeno che faccia abbiate. La nostra è una grandissima famiglia unita dalla musica e siamo tanti, ma siamo anche pochi perché poi le facce sono sempre quelle. Per cui quello che ti voglio dire è un sincero grazie ed andate avanti così perché di tutti voi c’è bisogno.

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