Esistono gruppi difficili da catalogare e da descrivere. Quella famosa piccola cerchia di gruppi geniali ed innovatori, gruppi che potrebbero esistere negando l’esistenza a centinaia di altri gruppi. A mio modesto parere gli Opeth sono fra questi.
Non nascondo la paura che provo nel recensire una band che adoro e che, nel bene o nel male, ha cambiato il mio modo di vivere rendendomi ciò che oggi sono. Tralasciando le emozioni personali credo che quasi tutti sappiate degli Opeth, gruppo svedese composto da quattro elementi, che suona un death metal di difficile catalogazione. La loro casa discografica li definisce come extreme progressive metal, per me è riduttivo e, soprattutto, inutile.
Dopo l’ottimo “Blackwater Park” tornano oggi con “Deliverance”, primo di un doppio album (il secondo, a detta di Mike, sarà più soft). Cinque tracce più una strumentale, della durata media di 10 minuti (come ormai ci hanno abituati), canzoni complesse, ricche di cambi di tempo, suonate in modo eccelso e tempestate di cambi d’atmosfera… ma il tutto non riesce a superare ciò che i nostri hanno proposto in passato, bensì si pone un gradino indietro. Wreath è un classico “Opeth Sound” per intenderci, traccia in cui troviamo tutte le caratteristiche che resero celebri, i nostri, a loro tempo. Riffs melodici ma soprattutto malinconici, ottima sezione ritmica ed il grandioso growling di Mike (secondo me uno dei migliori cantanti metal di sempre) ma che comunque lascia un po’ l’amaro in bocca perché sa tanto di “già sentito”. Comincia alla grande la title track, una delle migliori tracce dell’album, per poi subito placarsi con la voce malinconica di Mike e per poi riprendere nuovamente e proseguire così, quasi un gioco di chiaroscuro con le clean vocals di Mike che riusciranno a strapparci qualche lacrima.
A Fair Judgement è quasi interamente acustica, molto soft, che riprende molto le atmosfere delicate e raffinate di Blackwater Park. Una breve strumentale ci accompagna alla seguente Masters Apprentices, la più pesante dell’intero disco. Ritmi serrati e lenti per tutta la prima metà del brano per poi, dopo un bel break acustico, ritornare sul pesante, ma questa volta con riffs più veloci.
Arriviamo alla fine, per giungere forse alla canzone che vede i nostri lanciarsi in sperimentazioni mai ascoltate prima. Sarà per i suoni sperimentali, sarà per l’uso di vocals filtrate o forse anche per la spensieratezza e semplicità del break centrale, ma abbiamo forse uno dei peggiori pezzi scritti dagli Opeth durante tutta la loro carriera!
Dopo avere ascoltato “Deliverance” parecchie volte sono rimasto un po’ deluso. Non sono più gli Opeth di una volta, gli Opeth che mi lasciavano a bocca aperta dopo ogni nota, oggi sembrano un po’ stanchi, forse privi di idee. Dove sono finiti quei brani che si costruivano sovrapponendo riff su riff, nota su nota? Dov’è finita la ricerca nella melodia straziante e malinconica che durante ogni ascolto di un qualsiasi loro brano mi lasciava pietrificato? In tutto il disco pervade un senso di superficialità nella composizione dei brani (cosa impensabile per un gruppo con infinite capacità!), alcune canzoni sembran fatte tanto per fare, nessuno sfogo di creatività, nessuna innovazione! Mi risulta difficile parlar male di uno dei miei gruppi metal preferiti però, “Deliverance”, risulta essere il primo passo falso della band (forse c’era da aspettarselo dopo tutti quei capolavori). Bisogna però dire che il disco è comunque di buon valore dato che, anche se da’ l’impressione di “già ascoltato” contiene belle canzoni che, prese singolarmente, sono migliori di interi album scritti da gruppi che si atteggiano a grandi compositori ma, ahimè, non lo sono. Personalmente confido nella prossima nonché imminente uscita.

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