In un gioco consistente nel citare le formazioni hard rock/heavy metal più note dei vari paesi del mondo, arrivati al Canada i più probabilmente tirerebbero fuori dal cilindro nomi come Triumph, Harem Scarem, Rush, Voivod e una delle mille incarnazioni di Devin Townsend, ma rivolgendo la domanda a degli “anzianotti” come me state pur certi che potrebbero venir fuori anche nomi storici oggi un po’ dimenticati, come Exciter, Anvil, Lee Aaron e, appunto, Kick Axe.

E’ tempo di reunion, si sa, e forti di un discreto successo riscosso recentemente con la ristampa dei loro primi due lavori (“Vices” e “Welcome To The Club”) e dell’interesse scatenatosi su eBay, dove il terzo album “Rock This World” è arrivato a toccare cifre che superano i 100 dollari, anche il gruppo del Saskatchewan ha sentito l’impellente esigenza di ributtarsi nella mischia.
Della formazione “storica” dei precedenti lavori non fa oggi parte l’americano George Criston, eccellente e particolare cantante qui sostituito da Gary Langen, uno dei fondatori del gruppo, mentre torna il chitarrista Raymond Harvey, che aveva dato forfait prima della terza fatica discografica. L’assenza di Criston, un’assenza che si fa sentire ma tutto sommato nemmeno così penalizzante vista la buona prova del suo sostituto, è forse la cosa che noteranno maggiormente i vecchi fan, dal momento che la proposta dei canadesi è fondamentalmente sempre fedele a quell’hard rock melodico che li ha sempre contraddistinti, anche se chiaramente oggi presentato in una veste più matura, meditata e moderna (i fedelissimi delle sonorità classiche degli anni 80 sono pertanto avvisati di prendere con le molle quanto appena letto). Accanto quindi ai più o meno sostenuti rock anthem che ci aspetteremmo (come l’iniziale “Right Now”, “Who Says” e le vagamente Aerosmith-iane “Rockin Daze” e “Rock’n Roll Dog”) e alle belle trame vocali che hanno sempre contraddistinto il gruppo canadese (“Time”, “Who Knows Ya”, “City Lights”) trovano così posto in questo lavoro la sofisticata “Consolation”, la sognante e atmosferica “Turn To Stone” e più in generale composizioni più curate e meno dirette che, pur non riuscendo sempre a centrare l’obiettivo (“Do You Know”, “Woe”, la piacevole ma dal ritornello troppo ripetuto “Slip Inside My Dream”), mostrano arrangiamenti curati nei minimi dettagli, piacevoli e ricchi di costanti sorprese. Una citazione anche per l’ottima produzione, non soltano perfetta per il materiale proposto ma capace di mantenere quell’impatto “live” che ha sempre caratterizzato le pubblicazioni della band.

In definitiva un gradito ritorno e un album gradevole, che cresce con gli ascolti e che sebbene non faccia gridare al miracolo ci riconsegna un gruppo dal sound maturo, personale e attuale, che avrebbe meritato negli anni d’oro del nostro genere decisamente maggiore fortuna.

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