Cari lettori di Heavy-Metal, vorrei un attimo di attenzione: ciò che sto per recensire non è il solito album di rock’n’roll, è il rock’n’roll nella sua forma più pura, semplice e diretta, quella che tutti vorrebbero e dovrebbero ascoltare. Sto parlando dell’ultima fatica discografica del mitico, eclettico ed inimitabile rocker americano Brian Setzer che ha scelto di intitolare il suo tredicesimo album solista proprio 13, nonostante sia risaputo che, per gli americani scaramantici, tale numero non è visto di buon occhio. Andando contro la moda che imporrebbe, a qualsiasi artista, di pubblicare una raccolta di successi, il buon Setzer ha scelto al contrario di proporre tredici brani inediti che rispecchiano tutte le sue scelte artistiche, le sue passioni musicali e le molteplici ambizioni che hanno contornato la sua carriera.
Per coloro che non lo conoscessero, ecco la ricetta per identificare una piccolissima parte della sua proposta musicale: prendete un po’ di Ac/Dc, Gotthard, Bruce Springsteen, Lynyrd Skynyrd e tanto Elvis “The King” e miscelate il tutto a fuoco lento. Questo nuovo lavoro discografico è una miscela esplosiva di Hard Rock, rockabilly, country e jazz, il tutto magistralmente diretto dal nostro eroe Setzer accompagnato dalla sua fedelissima chitarra Gretsch. Sin dalle prime note di “Drugs & Alchool (Bullet Holes)” l’ascoltatore balzerà giù dalla sedia e verrà letteralmente travolto dai riff indiavolati prodotti dall’inimitabile Setzer. Con gli affascinanti riff rock/blues di “Take A Chance On Love” e “We Are The Marauders”, ci si sposta sui lidi dell’Hard caro ai grandissimi Ac/Dc, mentre con le successive “Broken Down Piece Of Junk” e “Rocket Cathedrals”, il nostro eroe ci traghetta nei meandri del rockabilly più puro; ed ecco giungere “Don’t Say You Love Me”, una stupenda ballata in pieno stile country. Come regalo ai proprio fan Setzer opera un’affascinante mini-reunion con Jim Phantom, suo compagno negli Stray Cats, con il quale esegue “Really Rockabilly”, pezzo molto divertente ed accattivante. Segue a ruota “Mini Bar Blues”, uno splendido Blues strumentale con notevoli influenze Jazz; Setter esegue un vero e proprio omaggio al mercato giapponese duettando con Tomoyasu Hotei nell’accattivante “Backstreets Of Tokyo”, pezzo che fa tornare in mente il sound dei mitici Gotthard; il nostro eroe si concede un momento di puro divertimento eseguendo la scanzonata “Bad Bad Girl (In A Bad Bad World)” e la trascinante “Everybody’s Up To Something”, facendosi addirittura accompagnare dall’organo hammond in “When Hepcat Gets The Blues”. Ma dato che, seguendo un vecchio detto, dulcis in fundo, ecco che il nostro eroe si concede una chiusura di tutto rispetto con la maestosa “The Hennepin Avenue Bridge”, un vero e proprio capolavoro che, dopo un inizio country scandito dall’inconfondibile suono del banjo, con accompagnamento di mandolino e voce sfocia, grazie alla gradita intromissione del basso tuba, in un vero e proprio tributo al sound di New Orleans.
Di fronte ad un simile album ogni commento diventa superfluo: questo è un disco da possedere ad ogni costo, da acquistare a scatola chiusa. Un consiglio per chi non conosce questo autore: 13 è l’occasione giusta per farlo, non lasciatevela sfuggire, altrimenti ve ne pentirete amaramente.

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