Questa per me e’ una recensione assai difficile, primo perche’ mi appresto a parlare non benissimo di uno dei miei miti d’infanzia, secondo perche’ l’attesa per questo disco era davvero altissima. Purtroppo in casi analoghi a questo ci sono fattori che esulano il semplice aspetto musicale, i Boston hanno un background troppo pesante, i loro dischi sono (quasi) sempre stati veri e propri capolavori dell’hard rock melodico, genere che loro stessi hanno contribuito, in larghissima parte, a creare. Ora confrontarsi con un cosi’ ingombrante passato sara’ stato sicuramente difficile, Scholz se ne esce con un disco che rompe con la classica tradizione bostoniana per presentare un sound dalle molte sfaccettature. E’ un disco cosi complesso e controverso che ritengo appropriata un’analisi track by track, non tanto per trovare difetti (molti) o pregi (pochi putroppo) in modo maggiormente analitico, ma per il semplice fatto che dare un giudizio generale sarebbe assai arduo.
“I had a good time” Il brano e’ facilmente riconducibile al Boston-sound classico, il refrain e’ bello, il rimando a cose fatto in passato imbarazzante, e non sara’ una sensazione solo su questo brano. I cori sono ben congegnati, cosi come la struttura melodica generale, ma la batteria su questo brano e’ deprimentemente finta (probabilmente elettronica, non trovo specifiche a riguardo nei credits, quindi do il beneficio del dubbio), considerando che non c’e’ un batterista ufficiale (pare sia lo stesso Scholz ad occuparsi anche della batteria…) la cosa non mi pare poi tanto assurda. Probabilmente, pero’, e’ il brano piu’ accattivante del disco.
“Stare out your window” Sinceramente un brano piu’ anonimo non potevano farlo, una sorta di esercizio elettro pop di bassa lega (per gli standard dei Boston ovviamente), piacevole si all’ascolto, ma che pochissimo lascia dietro di se: uno di quei brani che sentire o meno non produce quasi nessuna differenza. Purtroppo dico questo con sommo rammarico pensando a quanto grandi siano (stati?) i Boston, e quanto belli siano dischi come l’omonimo “Boston”, pluripremiato disco d’esordio, o i favolosi “Don’t look back” e “Third stage”
“Corporate America” La title track si presenta in modo quasi sconvolgente, suoni ancora piu’ elettro pop stile anni ’80. Il brano in se non e’ brutto ma non porta da nessuna parte, e’ di difficile comprensione non tanto per la struttura quanto per il cantato, in bilico fra un AOR senza mordente e un duetto maschile/femminile abbastanza fuori luogo. Certo il tutto e’ farcito dalla classe evidente del gruppo, ma questo non serve a salvare il brano dalla mediocrita’. Peccato.
“With you” Finalmente una canzone introdotta da una buona chitarra acustica, la voce di Kimberley la fa da padrona, e non e’ che la cosa sia molto “bostoniana”, il brano e’, ancora una volta, accettabile sotto il profilo melodico, ma non certo sotto quello compositivo; e’ una ballata acustica bella ma non consona alle potenzialita’ del gruppo. Non sto cercando di dire che i Boston debbano suonare sempre le stesse cose, ma se devono proprio cambiare rotta o intraprendere un cammino diverso da quanto fatto finora, lo facciano in modo degno o quantomeno si tengano sui livelli a loro conosciuti.
“Someone” Nell’intro di questo pezzo si sfiora quasi l’autoplagio, ci manca poco che si sentano gli effetti dell’intro di “More than a feeling”, il brano non e’ male in se, ma manca (si ancora…) di mordente. Resta si godibile e, almeno stavolta, di classe, pero’ lascia l’amaro in bocca. Quando tenta di accelerare finalmente mi accorgo che sono i Boston a suonare e non un gruppo qualsiasi. Tuttavia questo brano e’ solo un pallido raggio nelle nubi che si stanno addensando sopra l’astronave a forgia di chitarra elettrica…
“Turn it off” Purtroppo piu’ va avanti la canzone e piu’ si comprende il tentativo, peraltro completamente fallito a mio avviso, dei Boston di fare cose innovative, di riciclarsi (termine brutto ma calzante) pescando qua’ e la, addirittura in questo caso fanno il verso agli U2 (che gia’ di per loro non mi esaltano) con risultati addirittura scoraggianti, solo a meta’ del brano si sentono sprazzi di chitarra chiaramente scholziana, ma solo di memoria, lontana memoria. Il ritornello e’ ridondante, non brutto ma nemmeno piacevole piu’ di tanto; continua ad aleggiare lo spettro della mediocrita’…
“Cryin'” Altra ballata acustica, altra fitta al cuore, quel cuore che i Boston sembrano aver perso chissa’ dove, le soluzioni sono sempre quelle, melodia sempre in primo piano, sempre discreta, sempre meno che sufficente. Questo poi e’ un brano bruttino, vicino a certe cose che vengono dalla scena pop rock inglese, non certo quella di buon livello pero’.
“Didn’t mean to fall in love” Ancora quella disturbante batteria fintissima e piena di effetti compare all’orizzonte, ancora un brano dai toni rilassati (anche troppo), e sempre quella sensazione di voler pescare nel loro stesso passato con chitarre che portano alla mente quelle del primo, inarrivabile, capolavoro. Solo che qui sono chitarre e suoni sommessi, posti in secondo piano, anche quando dovrebbero essere l’elemento portante. Ancora un episodio che e’ una stilettata al cuore di un vecchio fan come il sottoscritto.
“You gave up on love” Il disco scorre via amaro e triste, acora una song con un inizio lento e sull’acustico, due voci (stavolta entrambe maschili) poi un po’ di energia, ma proprio poca, nelle backing si sentono tutte le voci che cantano in questo lavoro, all’opera, compresa quella ormai divenuta disturbante di Kimberley. Nel ritornello si cerca di spingere un po’, di affermare la propria identita’ di band storica, di gruppo cardine, ovviamente e’ solo un’altro pallido bagliore in un mondo di ombre.
“Livin’ for you” Chiude il disco questo brano live, preso dal precedente “Walk on”, che nulla aggiunge (essendo un brano gia’ edito) al disco in esame.

Purtroppo non c’e’ molto altro che io possa aggiungere. Il disco e’ brutto, forse oggettivamente meriterebbe mezzo voto in piu’ (la classe c’e’, malcelata ma c’e’) se il nome che capeggia sulla copertina fosse un altro. Pero’ li c’e’ scritto Boston e da un gruppo simile non si possono accettare lavori cosi mediocri e privi di pathos e feeling. Mi duole molto essere cosi duro nei confronti di una band che tanto amo, tuttavia non farei bene il mio mestiere se dicessi cose che non penso e che non sono vere. Posso anche consigliare un ascolto prima di bocciarlo totalmente, del resto concedersi questi cinquanta minuti, o poco meno, di musica non e’ poi cosi deleterio, pero’ vi avverto che questo potrebbe essere il canto del cigno di un grande gruppo.
Personalmente sono arrabbiato, arrabbiato e deluso per un disco attesissimo e per una band che ha perso personalita’ ed efficacia, solo un modo c’e’ per i Boston di lenire questi sentimenti, miei e di altri fans, che ascolteranno questo disco e avranno le stesse mie sensazioni, ovvero quello di riprendersi subito (ma considerando quanto sono lenti a produrre dischi, dubito fortemente su un pronto riscatto…) e ritornare a fare musica come solo loro sono capaci.

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