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Finalmente! Ho atteso da diverso tempo l’uscita del nuovo full length dei californiani AUTOPSY, fremendo dalla curiosità paragonata a quella di un bambino che scarta un regalo e gli luccicano gli occhi. Ebbene signori miei, “The Headless Ritual” arriva sugli scaffali di vendita, nel corso di un’estate che pare non arrivare e non da meno lo sono stati appunto questa band storica. Diciassette anni di esperienza, fa capire quanto lavoro c’è stato dietro ad una band come questa, che ogni anno ha pubblicato comunque un buon lavoro, rimanendo sempre sulla retta via e senza mai perdersi. Il ricordo di “Macabre Eternal” a distanza di due anni è ancora leggermente fresco, ma mai come ora i ritmi si sono rallentati, finendo a mischiare il classico death  con il doom vecchia scuola e osando persino con  alcuni momenti di black’n’roll puro e grezzo. Un platter composto da dieci tracce, intense una dopo l’altra, per una durata totale di più di quaranta minuti di musica. “Slaughter At Beast House” è una vera e propria mazzata nei denti.  Reifert picchia duro sulle pelli, parte velocissimo, poi rallenta sempre di più lavorando solo seguendo un disegno ben preciso delle  vibrazioni del basso di Allen e Cutler esplode poi nel growl, inseguendo il chitarrista Coralles nelle sue evoluzioni. Il giochetto della partenza velocissima e del rallentamento alternato, lo si può trovare senza dubbio in “She is a funeral”,  il brano più lungo dell’album e forse il pezzo che consacra la band ad un nuovo stile e ad una nuova interpretazione di se stessa. “Arch Cadaver” è il brano sicuramente più esplosivo, assoli interminabili con le urla finali growleniane di Reifert e Cutler, in perfetto stile death/doom. Unico difetto la batteria che doveva essere tenuta leggermente più alta, poiché in certi momenti tende quasi ad essere sovrastata dalla potenza delle chitarre e del basso. Infine  “The Headless Ritual” che porta il nome omonimo del disco, chiude l’album rimanendo totalmente in chiave strumentale e in pochissimi minuti riassume l’intero lavoro. In definitiva è inutile dire che gli Autopsy sono tornati, sono carichi e con un’idea ben precisa della linea artistica da mantenere e il cambio, seppur tardivo di stile, ha indubbiamente giovato a Reifert e soci.

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