Fanatici del metallo puro, forse questo disco non farà proprio al caso vostro. Però sarà una piacevole digressione, ve lo posso garantire.
Già notati dalla stampa specializzata nel 2006, indicati tra le top 10 band americane senza contratto discografico, i Throw The Fight arrivano all’agognato primo lavoro ufficiale.
E lo fanno in grande stile, con un disco che altro non farà che incrementare la già vasta schiera dei fans di un gruppo che negli ultimi tre anni non si è mai fermato, saltellando da una parte all’altra degli States per concerti.
Il loro è un riuscitissimo mix tra punk, hard rock e crossover, bilanciato e mai pacchiano, che a tratti ricorda i Sum 41, a tratti i ben più consistenti In Flames, che nulla hanno da spartire con questo genere musicale ma che compaiono evidenti tra le pieghe musicali dei nostri, che si dichiarano grandi fans degli svedesi e che hanno anche aperto alcuni show della band nel recente tour negli States… Due gruppi e due generi quelli appena citati estremamente lontani e differenti, ma che vedono qui fuse insieme le caratteristiche dei rispettivi sounds, per un mix intrigante e affascinante.
E allora si passa da una hit come “His Blood, My Hands “, in cui gli elementi che più hanno da spartire con il nostro amato metal vengono fuori prepotentemente, con un’inizio quasi alla Manowar salvo poi tornare sui binari con un singer che in tutto e per tutto ricorda Jared Leto dei 30 Second To Mars (ottimo il lavoro di guitars sul finire della song), a una canzone decisamente più ordinaria, se così la si può definire, quale “The Wreckage”, preceduta da una breve intro sinistra, che si protenderà fin nelle viscere della song, che si propone come una di quelle canzoni che le ragazzine nelle schools americane ballano urlando e sognando un bacetto con il belloccio di turno.
Più marcatamente aggressiva la successiva “Stop Yourself “, in cui le chirarre diventano un po’ più pesanti accompagnando la voce, volubile al punto giusto, per una song che accentua lo stile personale dei nostri, che hanno il coraggio di spingersi in angoli non nascosti (perchè non inventano nulla) ma certo meno facile del semplice punk o del crossover purissimo che tanto piace (o piaceva) alle masse, gettandosi qui anche in uno screaming puramente death ottimo e azzeccato.
Per concludere, non un disco che cambierà la storia della musica, probabilmente cambierà quella di questi 5 ragazzi di Minneapolis, ma che si lascia ascoltare e che si fa riascoltare con il suo grezzo essere spaccone, ma che ci regala un senso di soddisfazione generale che raramente album di questo tipo riescono a donare… Provare per credere

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