In questa splendida intervista, Andrea Cantarelli, membro fondatore dei Labyrinth, ci parla di musica a 360 gradi e ci illustra il suo nuovo progetto: A Perfect Day. Buona lettura!

Piacere Andrea, ben venuto su heavy-metal.it!
Grazie, piacere mio!

Iniziamo subito parlando di questo progetto: è qualcosa nato recentemente oppure lo portavi dentro da anni?
Ho sempre trovato tempo durante tutti questi anni di carriera per scrivere qualcosa che non necessariamente dovesse essere usato per i Labyrinth. Alla fine mi sono ritrovato con quattro, cinque idee che iniziavano a prendere una loro forma…quindi ho semplicemente “approfittato” di Roberto (Tiranti, ndPerf), in qualità di amico, prima che di cantante, per condividere quelle che erano queste idee. Roberto le ha trovate interessanti e abbiamo iniziato a lavorarle insieme. Allo stesso modo abbiamo coinvolto Alessandro (Bissa, ndPerf).
Il progetto non è nato con uno scopo particolare, in realtà esiste perché ci siamo trovati tutti sulla stessa linea e, quasi senza volerlo, ci siamo trovati con un disco pronto. Come fanno tutti abbiamo cercato di far girare un demo per capire se qualcuno fosse interessato e siamo stati fortunati perché la prima etichetta a cui avevamo pensato era proprio la Frontiers, ed eccoci qua! Questa è, molto velocemente, la storia della band.

Dove avete registrato il disco e chi è che l’ha prodotto? Vi siete avvalsi di un produttore esterno o avete fatto da soli?
Bisogna saper riconoscere quelli che sono i propri limiti ed essere abbastanza realisti. Io credo che il valore aggiunto di un produttore esterno (te lo dico anche per esperienze passate) risulta efficace se entra in sintonia con la band, se sta con il gruppo. Tipicamente collabora con la band anche alla stesura del disco e dà consigli durante le prove, dà suggerimenti in una fase molto iniziale, costituisce col gruppo gli elementi che poi ritrovi sull’album. La verità è che l’importanza di questo disco nel mercato globale è pressoché nulla, dovendo poi fare i conti che noi tutti abbiamo un lavoro, una famiglia e il tempo da dedicare alla musica è sempre troppo poco. Di conseguenza lavorare con un produttore esterno può rivelarsi una scelta non corretta nel nostro caso perché non riusciresti a sfruttarne il vero valore. D’altro canto però ho un caro amico che si chiama Giovanni Nebbia che lavora in uno studio di Imperia, Ithil World Studio, e che ho voluto come coproduttore dato che è una persona con cui collaboro da anni (ci ha aiutato anche a registrare l’ultimo Labyrinth) ma è soprattutto una persona con cui amo condividere un sacco di aspetti, oltre che musicali. Ci conosciamo talmente bene che mi ha potuto aiutare con gli arrangiamenti, dandomi consigli su come far girare meglio i pezzi. Mi ha dato una mando in termini di produzione artistica. Quindi ho avuto la fortuna di approfittare di un amico che ha un’intelligenza musicale di tutto rispetto e che ha potuto agire come un produttore.

Come mai hai sentito l’esigenza di staccarti dai Labyrinth per fare qualcosa di tuo, e anche di diverso?
Ci sono stati anni in cui i Labyrinth ci impegnavano l’intera giornata, era il momento in cui il power metal era al suo apice, quindi anche noi abbiamo goduto di questo periodo particolare che purtroppo non si è più ripetuto. Dopodiché Labyrinth è rimasto, e spero che rimarrà per tutta la vita, un progetto, un gruppo, un modo per incontrare gli amici e per suonare insieme. È una cosa talmente radicata, perché ci conosciamo da quando siamo ragazzini, che oggi come oggi ce lo viviamo come un di più. Non è facile vederci perché abitiamo tutti in città diverse, ma quando succede ci beviamo una birra, suoniamo insieme e quando abbiamo delle idee che riteniamo valide allora possiamo pensare anche a scrivere un album. Purtroppo è diventata un’occasione di fare musica talmente rarefatta che ero andato un po’ in crisi d’astinenza! Quindi avevo questa esigenza di fare musica, non tanto fare qualcosa di diverso da Labyrinth, ma unicamente di fare musica. Potrebbe essere visto come il classico modo di passare una serata, invece che guardare un film, scrivendo musica. Perché la musica mi piace ed è ovvio che ci dedichi del tempo; in questo caso, il tempo ha dato questo tipo di frutto.
Labyrinth rimane per me un progetto di primaria importanza ma allo stesso tempo spero che A Perfect Day possa avere una propria identità e regalarmi soddisfazioni anche in futuro. Il mio obiettivo personale è di andare abbastanza bene con questo disco tanto da riuscire a farne un altro. E, perché no, portare avanti anche questo progetto. In casa Labyrinth siamo al lavoro come sempre e magari qualcosa uscirà anche da quella porta.

Lo spero proprio!
Vedi, il punto è che ci son stati degli anni molto difficili per il gruppo perché avevamo perso un po’ il senso del tutto. Non capivamo più se suonavamo per piacere o cosa…non sapevamo più che pesci pigliare! Poi, come succede, capita qualcosa che fa riscattare la scintilla: l’ultimo lavoro, può piacere o meno, ma personalmente lo sento molto onesto. Non è stato scritto a tavolino, anche se qualcuno ha pensato a quello, ma è un disco che abbiamo scritto in pochissimo tempo, di getto. E vorrei che i Labyrinth andassero avanti su quella scia, senza dover fare un disco perché qualcuno lo sta aspettando, ma farlo in maniera del tutto naturale soprattutto quando siamo convinti noi che abbia senso pubblicarlo. Il problema è che siamo talmente impegnati che risulta difficile anche vedersi e i tempi diventano molto lunghi. Ma non avendo velleità di natura economica (perché nessuno di noi vive di musica) o di fama, sono convinto che Labyrinth avrà sempre il suo spazio. Prima o poi un disco dovrà uscire, se qualcuno vorrà pubblicarcelo (ride, ndPerf)!

A Perfect Day

Parliamo del disco, ad appannaggio delle persone che ancora non l’hanno potuto ascoltare. Tu come lo descriveresti?
È difficile…prima di tutto perché ci sono idee che sono state buttate giù in periodi molto diversi: rispecchiano quello che ero e quello che sono durante il corso di tutti questi anni. Credo che all’interno di questo disco, se pur in forma diversa, si trovino gli elementi che mi hanno sempre caratterizzato nei lavori in cui ho suonato. Melodia sicuramente, una certa vena malinconica che fa parte di me…non che sia una persona triste, ma musicalmente parlando sono vicino a queste sonorità. Per cui, in maniera molto naturale, è quello che ne è venuto fuori. Se vuoi, anche una certa dose di aggressività e di schiettezza musicale. L’idea di suonare in tre non è casuale: abbiamo cercato di riprodurre l’energia che tipicamente i power-trio riescono a trasmettere, magari con qualche rinuncia dal punto di vista dell’arrangiamento, ma poco importa… Potrei dare questi elementi a chi non ha sentito il disco: melodia, aggressività, schiettezza, una certa vena melanconica.

Alla fine la cosa affascinante della musica è che ognuno davanti alle stesse note prova emozioni diverse. È piacevole sapere che dalle persone che mi circondano, la stessa canzone viene interpretata in maniere diverse. Ci sarà chi lo troverà piacevole e chi no, questo è il bello della musica. L’importante per me è di fare le cose in maniera onesta e con tutto il rispetto che si deve anche a quelle dieci persone che compreranno il disco. La qualità, secondo me, non deve mai venire a mancare. Poi…ripeto, se avessi la chiave per piacere a tutti, l’avrei già fatto. In realtà è impossibile, proprio perché anche se ti metti a tavolino a scrivere una canzone, l’obiettivo che ti poni poi non viene mai rispettato perché ognuno ascolta le tue stesse note dandogli sapori diversi.

Personalmente, in certi frangenti l’ho trovato consono allo stile di “Freeman” dei Labyrinth. Tu cosa ne pensi?
Probabilmente il fatto di aver lavorato da solo e con Pier Gonella, in quel periodo alla stesura di quegl’album, potrebbe aver messo in luce in maniera più evidente delle caratteristiche mie, che comunque puoi trovare anche nei precedenti dischi dei Labyrinth. Il fatto è che quando scrivi e suoni con diverse persone è ovvio che le influenze di mescolino: se scrivo con Olaf Thorsen non potrà mai uscirne fuori un qualcosa di diverso da quello che puoi ascoltare nei dischi dei Labyrinth scritti con lui perché il mio modo di suonare e il suo messi insieme danno quello: se mischi il giallo e il blu, non può che venir fuori che il verde. Magari ci sarà un po’ più di giallo o un po’ più di blu, ma sempre verde è. Pier ha tonalità diverse e magari la sua indole lo porta a stare un pochino più fuori dalle righe…forse nel bilanciamento globale veniva più fuori quella che è la mia idea di musica, per cui la tua osservazione è corretta.
È un’assurdità, lo so, ma sono sempre stato lontano dalle sonorità del power metal: mi è sempre piaciuto suonare veloce perché quando ero ragazzino, ero un thrasher accanito! Il mio modo di vedere la musica è quindi quello. Ma se a un riff veloce ci accompagni una voce come quella di Roberto, ecco che l’ago della bilancia si sposta più sul versante power. L’altro mio aspetto musicale è legato invece a band come Fates Warning, Queensrÿche, o a band come Pink Floyd, quindi di natura molto diversa. Secondo me in questo album vengono fuori maggiormente queste influenze. Di sicuro sonorità legate a “Freeman” e a “Six Days To Nowhere” ci sono, ma perché fondamentalmente sono sempre io. Non è che faccio le cose per imposizione o per raggiungere un determinato obiettivo: la musica per me è un linguaggio, è il mio modo di comunicare. Se scrivo qualcosa puoi riconoscere i miei tratti comuni. Quindi è corretto quello che dici, sono d’accordo.

Invece dal punto di vista delle liriche, cosa hai voluto comunicare? Penso che abbia scritto tu la maggior parte dei testi, o sbaglio?
In realtà la maggior parte dei testi e delle linee melodiche sono il frutto della stretta collaborazione tra me e Roberto. Su questo album ho scritto quasi tutta la musica e condividendola con Roberto ho lavorato sulla stesura delle melodie. Per quando riguarda la parte dei testi, come ti dicevo prima, ho la fortuna che io e Roberto ci siamo sempre trovati sulla stessa linea: quello che ci piace raccontare è banalmente quello che viviamo nel quotidiano. L’unico pezzo che ho scritto interamente musica e testo è Now And Forever che riguarda mio figlio, che quest’anno ha compiuto tre anni e mi faceva piacere dedicargli una canzone cercando di raccontargli in musica e, anche attraverso il testo, quello che secondo me deve essere il giusto rapporto tra padre e figlio: quale miglior modo di comunicare se non attraverso una canzone? Questo è un po’ l’approccio che abbiamo avuto con questo disco: ogni canzone racconta frammenti di vita quotidiana, più o meno positivi, spesso in chiave ironica. Ci è piaciuto essere noi stessi, raccontando quella che è la nostra visione della vita di tutti i giorni. È anche un bel modo per discutere con chi ti ascolta, con chi incontri per strada o davanti a una birra o a un concerto. È un modo per comunicare. Con tutto il rispetto per chi parla di argomenti legati al mondo fantasy o ad altre tematiche, io preferisco parlare di questo.
A Perfect Day, lo stesso nome della band è un modo ironico per sottolineare quanto sia difficile vivere la giornata perfetta: il mondo di oggi è talmente frenetico…il lavoro, l’i-phone… la gente sta dietro a ste cose e questo ti porta a dedicare sempre meno tempo a quelli che sono gli aspetti davvero importanti della vita. A Perfect Day quindi è un po’ un modo di ironizzare su questo. Dietro le righe c’è però un messaggio che è quello appunto di non dimenticarsi che in realtà la giornata perfetta esiste: basta sapersi accontentare, basta sapersi fermare un attimo e godere banalmente degli affetti famigliari e di quello che ti fa star bene anche quando la giornata magari è andata di merda. Questo è un po’ quello che ho cercato di comunicare con “A Perfect Day”. Ovviamente non siamo dei poeti e nemmeno così bravi come certi cantautori italiani. Cerchiamo comunque di fare il nostro, sappiamo che le critiche arriveranno: quelle positive sono piacevoli ma servono a poco, quelle negative, se intelligenti, aiutano a crescere…il solito percorso di sempre!

In parte l’hai già svelato in precedenza ma te lo chiedo ugualmente: A Perfect Day è da considerarsi un episodio temporaneo o è qualcosa che vorresti portare avanti in futuro?
Dipendesse da me, gli darei lunga vita. Può sembrare una sciocchezza ma all’alba dei 39 anni riscopro il piacere di suonare in un trio: prendo un’unica macchina per andare a suonare, in maniera molto semplice senza una marea di furgoni, strumentazioni e cose del genere…è molto più facile trovarsi in sala prove per farsi una suonata. Ho riscoperto il piacere di suonare, in parte negato dai fattori di cui ti ho parlato prima: la lontananza, poco tempo libero ecc…
A Perfect Day mi sta dando delle grosse soddisfazioni perché mi ha riportato al vero piacere di fare musica, mi fa ricordare il perché ho deciso di iniziare a suonare: in primo luogo è perché vuoi emulare i tuoi idoli giovanili, l’altro motivo inizia con la “f” ma è inutile che te lo racconto! Ti rendi conto che hai sbagliato ancora una volta perché diventare degli idoli è impossibile e inoltre saresti dovuto andare in discoteca anziché fare il metallaro! Allora ti rimangono gli amici, ti rimangono la birra e il divertimento in sala prove. Crescendo questo ovviamente va in secondo piano perché subentrano le responsabilità, il lavoro, la famiglia…e diventa tutto più complesso. A Perfect Day è un modo per rivivere quello che mi succedeva quando ero ragazzo e spero che abbia lunga vita questo progetto perché per me è una valvola di sfogo, è quello che può essere il calcetto per i miei colleghi di lavoro! Spero che duri a lungo ma il problema è che non posso deciderlo io: come ti dicevo prima, già la possibilità di scrivere un secondo disco sarebbe un sogno per me. Vedremo quello che sarà il responso e se avrò un’altra possibilità. Nel frattempo me la godo (ride, ndPerf)!

La line-up comprende Roberto alla voce e al basso, tu alla chitarra e Alessandro alla batteria. Ti chiedo conferma di questo per sapere se avete intenzione di esibirvi dal vivo.
Come sempre si parte con la speranza di poter suonare. I dischi oggi, ti parlo in generale, per le grosse band, sono una scusa per poter suonare dal vivo. Non è un segreto se affermo che di copie non se ne vendono più e non credo sia dovuto al download illegale, credo sia un problema molto più complesso che coinvolge diversi fattori. Per farti un esempio, magari anche banale, quando ero ragazzo non avevi così tante distrazioni, la cosa migliore che ti poteva capitare era avere i soldi per comprarti un disco e ascoltarlo sullo stereo! Oggi comprendo il fatto che un ragazzino debba, con gli stessi soldi che noi avevamo a disposizione, comprarsi un i-phone, ricaricare il telefono…ha mille cose su cui si deve concertare e che vengono prima (purtroppo) della musica. Perché? Perché la musica si può ottenere gratis. Tutto questo è figlio dei tempi. Oggi la musica ricopre un’importanza diversa. Una volta quando compravi un vinile sapevi tutto: sapevi dove era stato registrato, leggevi i crediti, i testi…io mi ricordo l’odore dei vinili…li vivevi! Il fatto che il supporto fisico si potesse rovinare, te lo faceva trattare come un piccolo tesoro! Tutta questa attenzione per la musica oggi si è un po’ persa. Non riguarda solo l’aspetto musicale, il mondo oggi è un po’ tutto usa e getta. Ogni cosa ha una durata brevissima. Personalmente sto facendo molta fatica nel crescere (spero) nel modo migliore mio figlio, perché mi accorgo che quello che gli interessa oggi, domani non serve più, perché anche lui, pur avendo solo tre anni, è figlio di questi tempi.
Un disco è quindi una scusa per suonare dal vivo: la cosa bella di essere un trio significa poter suonare (detto banalmente) anche in quei locali che ti danno 300 euro comprese le spese. Così riesci ad andare almeno in pari. Quindi spero ci sia l’occasione, anche in posti piccolissimi, di suonare in Italia. Dopodiché la possibilità di andare oltre dipende molto da quanto interesse si creerà attorno a questo gruppo. Ci credo poco onestamente, non perché non sia soddisfatto del lavoro che ho fatto ma perché, riallacciandomi a quanto detto prima, il mercato è un cane che si morde la coda: se non vendi copie, non vai in giro a suonare, se non suoni non ti promuovi abbastanza per vendere copie…siamo in un loop… C’è internet che è uno strumento geniale, ma al contempo ha abbassato di molto il livello di attenzione da porre a certe cose… Non vorrei essere noioso ma, quando ero ragazzino per andare a vedere un concerto degli Iron Maiden dovevo intanto litigare con i miei per avere il permesso, poi dovevo procurarmi i soldi per il biglietto…era un’avventura, nonché l’unico modo che mi desse la possibilità di avvicinarmi alle band che amavo, per scoprire qual era l’Eddie della scenografia, scoprire la scaletta, ecc… Oggi vado su YouTube e so già come è fatto il palco, qual è la scaletta… e questo ha tolto un po’ il fascino della cosa…poi magari sono solo io che sono vecchio! Ma mi manca un po’ il vecchio modo di intendere la musica. Oggi leggo che la gente è un po’ più “distratta”, non mi piace generalizzare ma è quello che vedo.

Ok Andrea, visto che questo è un po’ il tuo disco, ti chiedo quali sono i musicisti che ti hanno spinto a suonare la chitarra?
Ho iniziato quando avevo circa 13-14 anni perché vidi in un negozio di dischi “Somewhere In Time” dei Maiden e fui attratto da quella copertina. Allora non li conoscevo perché ero più dentro il prog anni ’70, alcune cose dei Rush…ma non avevo ancora familiarizzato col metal. Comprando “Somewhere In Time”, l’intro di Wasted Years ha fatto scattare la scintilla. Da lì ho iniziato ad imitare quello che suonavano i Maiden ed è nato tutto!
Non mi ritengo un virtuoso e non mi sono mai interessato a questo stile di chitarra. Mi piace scrivere canzoni e usare la chitarra per comunicare. I chitarristi a cui mi sono ispirato sono sicuramente i quelli dei Maiden, per la loro capacità di scrivere melodie, ma forse il mio chitarrista preferito in assoluto è il compianto Criss Oliva. Secondo me aveva una capacità di emozionare attraverso la chitarra davvero unica, aveva un approccio struggente con lo strumento. Ne parlo ancora con la mia compagna: quanto mi manca quel chitarrista! Mi regalava delle emozioni che erano infinite! Ce ne sono tanti ma un altro che amo alla follia è Chirs DeGarmo dei Queensrÿche: poche note messe bene! Non mi è mai interessato lo shred anche se poi da quella fase ci sono passato anch’io! Poi, un po’ per svogliatezza, un po’ perché non è nelle mi corde, ho preferito fare un passo indietro e tenere il buono di tutto quello che ho imparato nel corso degli anni. Oggi la mia ricerca è volta a saper suonare la nota giusta al momento giusto, che non dimostrare quanto sono “bravo”. Sarebbe una gara fine a sé stessa anche perché troverei sempre qualcuno più bravo. Però non troverai mai nessuno che si esprime come ti esprimi tu, perché fortunatamente ognuno è diverso… Il complimento più bello che mi è stato fatto in questi giorni da una persona che ascoltando il disco (non sapendo chi fossero gli A Perfect Day) ha affermato “ma questo è il chitarrista dei Labyrinth”. È stato un grosso complimento, non tanto per la parte tecnica, ma perché sono stato riconosciuto in termini di stile. Questo è alla fine il mio obiettivo, per cui i chitarristi che ti citavo prima, secondo me, sono dei maestri in quella direzione: tutto in funzione del pezzo e di quello che vuoi trasmettere.

Quindi da te non ci dovremo mai aspettare il classico disco strumentale suonato alla velocità della luce!
No, prima di tutto perché non ne sarei capace! E poi perché non è il mio linguaggio. Ho dei pezzi che utilizzo per fare clinic o per presentare degli strumenti (se cerchi su YouTube dovresti anche trovare qualcosa), ma anche se magari puoi sentire una scala veloce, il tutto è in funzione del brano, perché in quel momento il brano lo richiedeva. Un altro dei miei favoriti è David Gilmour dei Pink Floyd che secondo me è uno dei veri virtuosi della chitarra perché fare una scala a 200 all’ora richiede molto meno sforzo che intonare un bending in modo corretto. Poi bisogna anche vedere cosa uno intende per tecnica…ma si entrerebbe in un terreno abbastanza spinoso e non voglio andare oltre! In sostanza un disco di shred non lo farò mai, primo perché ci sarebbe tantissima altra gente molto più brava di me e non avrebbe senso farlo, poi non ne sarei capace, te lo dico proprio onestamente!

Ok Andrea, grazie per la bellissima intervista, concludila pure come preferisci.
Fabio, ti ringrazio. Alla fine una chiacchierata è il modo migliore per presentare le cose. Ai lettori di heavy-metal.it voglio confermare quello che ho detto prima, cioè provare a dedicare un minuto di più alla nostra passione e scendere un pochino più nel profondo quando ci avviciniamo a un disco, che siano gli A Perfect Day o qualsiasi altra cosa, cercando di andare a catturare il vero messaggio che sta dietro le canzoni senza limitarsi a commentare un disco perché il suono della cassa non è quello giusto o la produzione non va bene. Altrimenti dischi storici sarebbero stati stroncati in partenza! Spero che si ritrovi la forza di poter dedicare più tempo a quella che è la nostra passione. La speranza è che i lettori di heavy-metal.it possano divertirsi ascoltando anche A Perfect Day, niente di più, niente di meno. Godiamocela! La musica è un tesoro che ci è stato regalato, diamogli il giusto valore che secondo me si merita. Il resto lo fa il gusto personale di ognuno di noi, ma bisogna mettersi d’impegno, perché l’ascolto di un disco lo richiede.

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