Quando si associano le parole “rock” e “Australia” il primo nome che viene in mente non può essere che uno: AC/DC. Ma oltre ai fratelli Young (e a molte altre band) in Australia sono nati anche questi Dungeon, band che con poca modestia si definisce la migliore metal band australiana nel suo genere, nonchè autori di un power metal 100% australiano.
Lungi da me il volere dare dei millantatori a Tim, Stevo, Dakk e Stu, ma se il puro power metal australiano è così, mi aspetto di trovare al mio primo viaggio nel continente oceanico banchetti che vendono crauti e wurstel ad ogni angolo. Ironie a parte, la proposta musicale dei Dungeon è quanto di più scontato, banale e prettamente power-teutonico si possa desiderare, con tutti gli annessi e connessi del caso.
Per carità, il disco è suonato nonchè prodotto veramente bene, suono praticamente perfetto nella sua patina di pulizia, doppia cassa incessante, riff di chitarra e assoli al fulmicotone ma…le idee? Dove sono rimaste?
Questa mancanza totale di personalità è per me una gravissima lacuna, soprattutto in virtù della provenienza non proprio “convenzionale” del gruppo, e da quindi diverse possibili radici culturali e ambientali. Tutte queste differenze non permeano il sound della band, che potrebbe essere benissimo scambiata per una band di ventenni del nord europa, con canzoni a cavallo fra Helloween, Gamma Ray, un po’ di metal classico alla Judas Priest e addirittura somiglianze con gli amati/odiati Hammerfall.
Classici passaggi alla Kai Hansen, come in Netherlife (Black Roses Die) la fanno da padrone per tutto il disco, con rare eccezioni. Lord Tim, alla voce, dispone come gli altri componenti del gruppo di una buona tecnica, ma anche qui la personalità (non pretendo originalità) viene lasciata da qualche altra parte, se si esclude l’undicesima traccia, ovvero “Traumatised” che abbandona i classici canoni del power metal di matrice tedesca per avvicinarsi più a quelli del thrash più sparato, rivisto in chiave moderna. Qui Tim tira fuoci una voce carica di rabbia e aggressività, al limite col growl più gridato e rende più vario e piacevole quantomeno il finale di questo disco che, altrimenti, viaggerebbe su una monotonia disarmante.
A vera conclusione del compact disc troviamo però una chicca, ovvero la cover di “Queen of the Reich” dei Queensryche, cover peraltro che non si discosta troppo dall’originale. Questo la dice lunga sul carattere e la personalità che i Dungeon hanno messo in questo lavoro, che si può benevolmente etichettare come manieristico. Ripeto, nulla di troppo negativo se almeno vi fossero melodie o ritornelli memorabili, quelli che poi ti ritrovi a fischiettare o canticchiare mentre cammini per strada pensando ad altro. Nulla. Calma piatta in Australia.
Un vero peccato, specie per un gruppo in giro ormai da oltre 15 anni e con tre album all’attivo. Se siete comunque dei power-divoratori questo disco potrà piacervi sicuramente, rispettando al 101% tutti i canoni del genere.