Quanti di noi attendevano il ritorno sulle scene di questi folli ragazzi inglesi? E quante erano le aspettatevi da loro create con il primo schizofrenico “Calculating Infinity” e, ancor di più, con l’EP “Irony Is A Dead Scene” (il quale vedeva sua maestà Mike Patton dietro al microfono)?
E rieccoli qui, con un nuovo album intitolato “Miss Machine”, tanta classe e un bel po’ di novità. Innanzitutto il vecchio cocktail a base di hardcore-jazz-prog resta invariato alla base con l’aggiunta di notevoli spazi dedicati alla melodia e alla sperimentazione (che stiano seguendo la scia degli amici Sikth?), un disco forse meno di impatto del precedente “Calculating Infinity” ma, sicuramente, maggiormente ricco di influenze sfumature ed ispirazione.
Il brano che più si avvicina al passato è senza ombra di dubbio la title-track, “Panasonic Youth”, che con il suo notevole impatto, il suo assalto frontale, i suoi cambi di tempo e i riff psicotici ci regala poco più di due minuti dove è il caos (math-core?) a regnare sovrano.
Da qui le sorprese, piacevoli e pregevoli. La lucida follia di “Sunshine The Werewolf” viene interrotta da un break melodico piacevole e allo stesso tempo spiazzante, dal tocco jazz, lascia a bocca aperta per la sua totale “dissonanza” (se mi passate il termine) con la prima metà del brano.
Spazia dal rock al jazz con tanto di ritornello accattivante “Highway Robbery” senza mai dimenticare quel tocco di imprevedibilità a cui i nostri ci hanno abituati… sfuriate hardcore, interrotte da un pianoforte e da una batteria jazzata, un cantato ormai somrprendente che spazia dal puro urlato a parti soft e più umane con estrema disinvoltura (e qui l’insegnamento di Patton). Quando poi si arriva a sfiorare l’industrial con disinvoltura allora ci si rende conto che si ha davvero a che fare con un disco sorprendente, da ascoltare e riascoltare, composto da un gruppo talmente valido da non aver paura di sfilarsi quei famosi paraocchi bensì di uscire (anzi di fuggire via) fuori da ogni schema preconfezionato da altri, ascoltato e riascoltato ormai da anni; un gruppo privo di ogni sciocca paura e conscio di poter incantare e sorprendere l’ascoltatore.

I The Dillinger Escape Plan sono folli, totalmente folli…. ma nella loro follia riescono a trovare momenti di lucidità… la loro musica ne è la prova. Giocano con la musica, proprio come bambini, la compongono e decompongono a proprio piacimento, come un bimbo con i lego. Questo è il vero senso dell’estremo…. loro ci giocano, noi lo facciamo nostro.

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