Fin dalle primissime note di questa terza fatica degli svedesi Astral Doors apparirà fin troppo ovvio a chiunque che quanto espresso dai precedenti album del gruppo sia destinato ad essere ripetuto nuovamente dai nostri diffusori acustici.

Cultori del sound di Dio e del binomio Rainbow-Black Sabbath, gli Astral Doors tornano infatti con un disco che non si discosta molto da quanto già pubblicato in passato, riproponendo la musica dei grandi gruppi appena citati in chiave più attuale e d’effetto, considerazione quest’ultima valida soprattutto per tutti quelli con una carta d’identità meno usata e sgualcita di quelle dei coetanei del sottoscritto e per chi (a torto) ritiene le vecchie opere a cui i nostri si ispirano troppo datate e prive di impatto.

Rispetto al recentissimo passato è evidente come il gruppo nordico abbia irrobustito sia riff che ritmiche, infittendo si il sound ma appiattendo anche un po’ la proposta, e se a questo aggiungiamo la scelta in fase di produzione di premiare troppo le chitarre si arriva alla conseguenza che bastano pochi brani per avvertire subito la necessità di una sterzata di qualche tipo, sterzata che nemmeno le tracce più cadenzate e/o epiche riescono a garantire proiettando quindi il disco verso una uniformità di base tale da rendere arduo a giochi fatti rammentare un titolo anzichè un altro.

La più che dignitosa prova al microfono di Patrik Johansson (che si prodiga per convincerci di essere l’unico degno emulo di Ronnie James Dio), il sound radicato profondamente negli anni a cavallo tra i settanta e gli ottanta, lo zio Iommi e la sua creatura che quì e là fanno capolino (“Apocalypse Revealed” e “Tears From A Titan” in primis), le indiscusse capacità tecniche dei sei e una manciata di brani convincenti garantiscono in definitiva la sufficienza al disco, anche se non sono sicuro di essere l’unico che, terminato l’ascolto, avrà voglia di rimettere su gli inarrivabili originali.

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