Che cosa succederebbe se uno scienziato annunciasse pubblicamente di aver scoperto il segreto del codice genetico umano? Questa scoperta renderebbe l’uomo immortale, permettendogli di eliminare qualunque tipo di malattia e di allontanare per sempre lo spettro della morte…

Questi sconvolgenti presupposti sviluppano dunque il nuovo lavoro dei Vision Divine, “The perfect machine”, che si rivela, dal punto di vista lirico, come un concept ancora più interessante di quello sviluppato nel precedente “Stream of consciousness”. Durante l’ascolto del disco ci troviamo davanti una band che ha raggiunto una certa maturità artistica: ormai il power metal degli esordi è stato quasi completamente abbandonato, salvo sporadiche accelerazioni che fanno capolino in alcuni dei nove brani presenti sul dischetto; i Vision Divine puntano la propria attenzione su riff tipicamente heavy metal a volte al limite del thrash, il tutto condito sapientemente dalle tastiere di Oleg Smirnoff che donano a tutte le canzoni una venatura dal sapore a volte prog e a volte vicina all’hard rock melodico caro agli Europe. La melodia è sempre stata una delle componenti essenziali di ogni brano firmato Vision Divine e dopo un breve intro si parte già in maniera splendida con la lunga title track e la successiva “1st day of a nerve-ending day” che vedono un Michele Luppi in forma eccezionale, capace come al solito di incantare l’ascoltatore con delle linee melodiche azzeccate e dannatamente intriganti.

“L’uomo non ha più bisogno di figli, non ha più bisogno di pregare, non ha più bisogno di temere la morte e di vivere in relazione di tutto questo… Dio e’ morto…”

Man mano che si prosegue l’ascolto dell’album, si capisce quanto questa sensazionale scoperta non giovi in realtà all’umanità, bensì la stia portando lentamente alla morte. E i Vision Divine riescono con la loro musica a sottolineare pienamente quest’aspetto del concept rendendo, man mano che ci si addentra nella scoperta del cd, i brani sempre più aggressivi e tirati: un esempio è rappresentato da “The ancestors’ blood” che ci regala un riff trita sassi dannatamente duro e massiccio fino ad esplodere nel corale ed arioso ritornello che caratterizza da sempre i brani della Visione italiana. Non mancano ovviamente episodi tipicamente power metal, che ricordano molto da vicino i brani presenti su “Send me an angel” e sul fantastico debutto: è, infatti, il caso di “God is dead” e di “The river” canzoni che fanno della velocità il loro punto di forza, caratterizzate da continue accelerazioni e cambi di tempo. L’ascolto del disco prosegue con la pimpante “Land of Fear” caratterizzata da un riffing davvero azzeccato e da un ritornello che si piazza subito in terra con un uso dei cori davvero esemplare; a seguire arriva “Rising sun” che ricorda molto da vicino le canzoni presenti su “Strive”, l’album solista di Michele, vede un Oleg Smirnoff autore di un’ottima prova al pianoforte per poi lasciare spazio a sonorità maggiormente progressive durante il ritornello. Un attimo di riposo c’è concesso dalla lenta e malinconica “Here in 6048”, brano che semplicemente anticipa il finale dall’album affidato a “Now that you’ve gone” pezzo che vede ancora una volta Michele protagonista indiscusso del disco, capace di variare il proprio modo di cantare da aggressivo a melodico da alto a basso con incredibile facilità e maestria.

I Vision Divine si dimostrano ancora una volta come una delle migliori band tricolore. “The perfect machine” è un album saprà incatenarvi senza troppi problemi al lettore cd.
Bentornati Vision Divine.

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