Un buono ed un esaltante full-lenght alle spalle, coerenza, idee e (esageratamente) poca considerazione da parte di pubblico e media. E’ in queste condizioni che gli Undertow arrivano alla pubblicazione di “Milgram”, piacevole terzo episodio discografico della rocciosa band teutonica.

Gli undici ruvidi brani contenuti nel disco in questione esplorano, senza sorprese ma con invidiabile presa compositiva, quella che è ormai la tradizionale formula del sound espresso dal terzetto. Pur con un effetto sorpresa sensibilmente inferiore e qualche leggero ritocco rispetto al “34ce”, infatti, la formazione tedesca conferma buone sensazioni e qualità con un disco sempre pieno, apprezzabile e mai noioso. L’impressione è che i pezzi abbiano assunto una dose di ariosità leggermente maggiore rispetto ad un passato in cui la fangosità sonora era il punto di riferimento principale. Oggi, pur permanendo quelle caratteristiche care allo sludge ed allo stoner già proprie dei tre, le sonorità acquisiscono una vena più dinamica in cui l’impercettibile filo conduttore melodico s’insinua tra le righe a donare identità ad ogni singolo brano. Leggerissima perdita di fascino e cattiveria, dunque, a favore dei vantaggi appena citati e per una proposta che , per il resto, rimane pressochè invariata. Indistruttibili, permangono ai propri posti le influenze dei Metallica più moderni, il dolore e la malinconia di riff che rimandano agli Alice In Chains e poche ma tangibili sfuriate care all’HC made in USA. Una miscela affascinante, enigma consigliabile per chi non conosce la band, conferma imperdibile per chi l’ha amata in passato. Un altro episodio che conferma la voglia degli Undertow di mostrare, consci del proprio non essere fenomeni, qualcosa di onesto, diverso e distinto in un panorama musicale in cui si miscela o compone per omologazione e formule preconfezionate.

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