Devin Townsend non ha mai avuto paura di mettersi in discussione, di svelare il proprio ego contorto, di raccontarci ogni scheggia di quella che è la sua visione dell’universo circostante.
Diversi canali che richiedono differenti stati di coscienza e percezione: dalla violenza rarefatta degli Strapping Young Lad alla regressione industrial dei Physicst, fino a toccare istanti di assoluta epicità rapsodica con “Ocean Machine” e gli espansi “Terria” e “Infinity”.
“Accelerated Evolution”, parto ultimo di un inizio d’anno clamorosamente prolifico per l’artista canadese (sempre accompagnato da musicisti eccellenti), è una sublimazione portata all’estremo di quella che è la personalità artistica di Townsend.
Un disco che quasi commuove per quanto è ispirato, spontaneo, frutto di una processo compositivo che trasuda sensibilità e naturalezza che in molti casi sono ostentazioni di talento incontrovertibile.
Riallacciandosi alla produzione più recente di Townsend, si può considerare “Terria” come il disco di un uomo maturo e conscio delle proprie capacità, lasciatosi trasportare dalla sua attitudine più sperimentale; “SYL”, al contrario, è il rantolo psicotico di un folle assorbito dagli angoli più bui dell’aberrazione umana; “Accelerated Evolution”, così contestualizzato, è l’opera del Townsend fanciullo, il disegno in musica delle sue speranze, delle sue paure, dei suoi scatti d’ira incontrollabile. Da un certo punto di vista la sua creazione più completa e viscerale.
Mai prima d’ora le composizione di Townsend sono state così vicine alla forma canzone. In diversi momenti (“Random Analysis”, “Slow Me Down”, “Traveller”) sembra di assistere ad una jam session tra i Beatles e i Fear Factory, con le melodie memorabili dei primi e la freddezza metallica dei secondi. L’opener “Depth Charge” è il pezzo più serrato del disco, dove rivive in sparute visioni la pesantezza di “City”. “Away” è un esperimento psichedelico, un flusso etereo di chitarre liquide e voci appena sussurrate. Perla assoluta del disco è “Deadhead”, una delle cose migliori ascoltate quest’anno e probabilmente uno dei picchi creativi di tutta la carriera di Devin: si parte con un assolo estrapolato dalla gentilezza degli ultimi Pink Floyd per approdare ad un’interpretazione vocale degna di Robert Plant, dove l’urlo “Pain” viene ripetuto più e più volte in un climax dalla spiritualità tangibile.
Le qualità del musicista Townsend vengono fuori tutte: chitarrista eclettico, interprete (ancor prima che cantante) straordinario. I suoni brillano come il trademark di ogni produzione che abbia DT come caratteri dominanti: ritmiche di basso e batteria nitide e devastanti, utilizzo dell’elettronica sempre parsimonioso ma fondamentale nell’economia dei pezzi, chitarre ora serrate ora morbide e fluidissime; tratti distintivi che forgiano una figura carismatica e fragile che non deve essere ignorata in nessun caso… e che probabilmente meriterebbe una visibilità maggiore rispetto a quella che l’universo heavy-metal gli concede.

Vincenzo “Third Eye” Vaccarella

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