Si scrive ‘Commandment’ e si legge come l’ennesima prova del totale disagio dei Six Feet Under in fase ispirativa e compositiva. Lasciati a casa anche i minuscoli spiragli positivi del precedente ’13’, i quattro al servizio della Metal Blade, palesemente sgonfiati e disorientati, sono in grado ancora una volta di firmare un picco negativo nella loro non invidiabile carriera. Il risultato è più che immaginabile.
Un disco in cui l’unico elemento positivo è individuabile nell’esigua durata. E’ questa l’inevitabile sentenza una volta subita l’incredibile piattezza del disco in oggetto. Dieci brani indistinguibili sia per temi sia per qualità che, con la testardaggine sterile del pivellino in erba, indugiano senza soste su motivi utilizzati mille volte altrove e qui riciclati in maniera davvero poco elegante. Strutture che alla semplicità preferiscono il semplicismo si ripetono fino ad una noia, dopo appena un paio di brani, già protagonista indiscussa dell’album. Tutto fastidiosamente da copione. Riff death cadenzati, incredibilmente simili l’uno con l’altro, e ritmiche legnose sono il cardine strumentale di un disco che di notevole ha ben poco se si escludono gli interrogativi legati alla sua uscita. Tra una produzione piatta e la nostalgia nel vedere Chris Barnes sprecato ad urlare in maniera scolastica in brani puerili, come l’emblematica ‘The Edge Of The Hatchet’ (si provino a contare le volte in cui lo stesso riff è iterato), l’ennesimo pastrocchio firmato Six Feet Under può essere archiviato con la solita indifferenza. Comodamente evitabile senza danno alcuno.