Tre anni, sono passati già tre anni dall’uscita di “Killing Ground”, tre anni nei quali i Saxon ci hanno comunque regalato “Heavy Metal Thunder”, raccolta in chiave nuovo millennio dei capolavori scritti da Byford e soci, e lo stupendo concerto al Wacken Open Air Festival del 2001 immortalato nel DVD “The Saxon Chronicles”, uscite che invece che attenuare l’attesa per questo nuovo lavoro l’hanno paradossalmente resa ancora più lunga.

“Lionheart is the most powerful album we’ve ever recorded” proclamava Byford a luglio parlando dell’allora imminente pubblicazione, e per noi era immediato e anche scontato pensare alle solite frasi di circostanza, di presentazione, che spesso anzi anticipano dei dischi non propriamente riusciti…niente di più falso.

I Saxon sono tornati più battaglieri e combattivi che mai, e lo hanno fatto con la solita autorità di vecchi leoni, impartendo una sonora lezione a tutti, vincendo nettamente per manifesta superiorità qualunque sfida lanciata loro, spazzando via con un solo colpo l’accozzaglia pretenziosa che affolla la voce “nuove uscite discografiche” più tipicamente metal, dimostrando di attraversare una seconda giovinezza e di non avere per il momento nessuna intenzione di abdicare.

Immagino i vostri commenti a questo punto, e concordo, sono frasi da fan esaltato, di uno che in tutti questi anni ha metabolizzato i loro dischi e che si è appassionato a questa musica quasi esclusivamente per merito loro, e avete ragione, ma come volete che vi spieghi un disco così riuscito, vero e dannatamente coinvolgente senza esaltarmi? “Se non vi piace significa che siete morti” ha detto un mio amico/collega, “Per ascoltarlo devo prima mettere in salvo le cose fragili” un altro, esaltazione collettiva o pura e semplice verità? Compratelo e premete quel benedetto “play”, avrete l’inequivocabile risposta.

Nove riusciti paragrafi (“The Return” e “Jack Tars” sono delle brevi intro), midtempo epici in puro stile Saxon (la titletrack), riff pesanti come macigni (uno per tutti quello di “To Live By The Sword”), tempi assassini, cavalcate metalliche d’altri tempi (“English Man ‘O War”), chitarre taglienti come rasoi e magnificamente protagoniste, ritmiche quadrate e implacabili (merito anche della new entry Jörg Michael alle pelli), energia da vendere, grinta, entusiasmo…

No, “Lionheart” non è un capolavoro, ma è un disco raro oggigiorno, uno di quelli che ti mettono in pace con te stesso e ti fanno sentire subito meglio, di quelli che ti ripagano di tutte le anonime, stereotipate e stanche pubblicazioni di questa dannata era digitale, di quelli che a fatica smetterete di ascoltare e che frequentemente avrete nostalgia di riprendere, non commettete l’errore di perdervelo.

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