Gran parte del successo dei danesi Royal Hunt si basa sull’ottima riuscita di questo “Moving Target”, album datato 1996 ed ancor oggi una delle migliori opere (se non la migliore) di André Andersen e soci. La svolta avviene con l’innesto in line-up del talentuoso ed allora sconosciuto cantante D.C. Cooper (al posto di Henrik Brockmann, ora negli Evil Masquerade), uno dei migliori interpreti contemporanei di heavy metal melodico, e con il raggiungimento della piena maturità artistica dopo i buoni risultati di “Land Of Broken Hearts” e, soprattutto, “Clown In The Mirror”.
Il terzo lavoro dei Royal Hunt, dunque, è il naturale exploit di una band al massimo della forma, caparbia come poche in quel periodo e fermamente ancorata a delle solide basi compositive del tutto originali: la loro miscela di heavy metal e progressive assume sin dagli esordi una forma del tutto particolare, inscindibilmente legata al genio artistico di Andrè Andersen e del suo modo di concepire il ruolo della propria tastiera in chiave classica e/o sinfonica. Ogni loro canzone, quindi, è giocata su trame strumentali complesse ma anche molto melodiche, in grado di valorizzare al meglio i grandi pregi di un manipolo di ottimi musicisti e di un cantante veramente straordinario in quanto a potenza espressiva ed estensione vocale. In ogni secondo di questo album, i Royal Hunt danno sfoggio di gran classe alternando brani dall’andamento medio/veloce (“Step By Step”, “Time”) ad altri più ragionati e ricercati (il capolavoro “1348” o la dolcissima ballad “Far Away”), garantendo all’intero lavoro un livello qualitativo pressoché inattaccabile. “Last Goodbye”, “Stay Down” e via via tutti gli altri, “Moving Target” non conosce cali di tensione e si lascia ascoltare con estremo piacere per tutti i suoi quarantasei minuti di durata: ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, il suo flavour rimane praticamente inalterato, pesando come un macigno sulle ultime composizioni della band, lontane anni luce dai fasti e dallo splendore di questo immenso capolavoro.
Un episodio fondamentale della discografia dei Royal Hunt, dunque, che ha aperto le porte della notorietà e del successo al combo danese e che, cosa assai più importante, ha insegnato molti di noi a guardare con nuovi occhi il mondo dell’heavy metal.