Lento, come una ventata nera che avanza cupa, inesorabile, che si insinua e non trova via di fuga…
Probabilmente è difficile trovare una metafora differente per spiegare il nuovo lavoro del combo irlandese, il terzo per la precisione. Associati all’inizio ai My Dying Bride più cupi, vuoi per il modo di suonare e soprattutto per la similitidine vocale tra Aaron (MDB) e Darren Moor, si sono discostati tra un album e un’altro in una direzione più personale, che trova (per ora) la sua summa in “A murderous circus”. Un circo maledetto, fatto di macabre danze e di oscuri rituali (metaforicamente parlando). Solo 5 i pezzi, ma lunghi e atmosferici, come nella più classica tradizione doom, dove la musica conta di più che il numero di canzoni che la compone.
L’inizio di questo viaggio è affidato a “The apocalypse machine”, una macchina possente, dalle ritmiche sfuggenti e malinconiche, che fa del suo pathos un’arma vincente. E la macchina ci trascina sempre più a fondo, tra i break acustici e quelli più aggressivi. “Elemental Nausea” si discosta dal brano precedente, soprattutto per lo stile compositivo, reso più su fraseggi aperti e acustici che distorti e pesanti, pur mantenendo la malinconia generale. Il incontrario per il pezzo seguente “The crashing wave”, incentrato su una ritmica serrata e riff heavy, estremizzando riff di doom classico in maniera esemplare.
L’album prosegue con “Nothing (The March Of Death)”, il brano più lungo del lotto, che con i suoi 20 minuti scarsi (si avete letto bene!), si manifesta come una visione decadente, simile a un oblio musicale che ci scioglie man mano durante l’ascolto, specialmente durante il lungo excursus di basso nel pezzo centrale, da brividi. In chiusura, l’antitesi del brano precedente “…yet everything”, imperniato su un pregevole giro di chitarra solista, molto armonico e malinconico allo stesso tempo.

Come concludere un racconto di un album buono e notevole? Con i difetti, giustamente, presenti pure in ogni capolavoro. Sicuramente il primo è la lunghezza (forse eccessiva) delle composizioni, che potrebbe sfiancare un non-ascoltatore abituale di queste sonorità, e (purtroppo) la ripetitività di alcuni passaggi, che per quanto belli, possono annoiare in egual maniera. In sintesi un bell’album, piacevole all’ascolto, consigliatissimo a chi adora il doom, ma per chi non è avvezzo alle sonorità, forse necessita di un paio di ascolti “a scrocco”.

P.S. In quanto questa sarà la mia ultima recensione “ufficiale” saluto tutti i lettori che hanno apprezzato quel che ho scritto, nei suoi alti e nei suoi bassi. Grazie a tutti!

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