Grandiosa, semplicemente grandiosa quest’ultima fatica degli ormai veterani Ministry, autori, come pochi, di dischi sempre superlativi. Li avevamo lasciati l’anno scorso con il successo riscosso a seguito di “Animositiosomina”, lavoro notevole della band di Chicago, e, a breve distanza, tornano a calcare la scena con un album fantasmagorico del calibro di “Houses Of Molé”.
Stavolta, il gruppo capitanato dall’ormai prossimo docente universitario Al Jourgensen è incazzato come non mai. “Più le cose cambiano, più restano uguali”, questa è la frase-motto da dove divampa la sua polemica innanzitutto e soprattutto contro l’ attuale situazione politica negli U.S.A. e verso tutto il sistema che ne conviene. I Ministry hanno un solo nemico da combattere ed abbattere: il suo nome è Bush (e chi altrimenti?), che “regna sovrano” nella Casa Bianca, da loro schifosamente aborrita.
I Ministry sono i rappresentanti della controparte (lo avevano dimostrato già partecipando alla compilation “Rock Against Bush”) che non si adegua, né tanto meno ne è intenzionata, al succitato Sistema e alle sue molteplici ingiuste macchinazioni. E cos’hanno tirato fuori giustappunto? Forse il disco più violento che abbiano mai partorito assieme al celeberrimo “Psalm 69” datato ben 1992!

Dopo un incipit-storpiamento velocizzato dei Carmina Burana, dove scomodano addirittura le grazie di Carl Orff, disturbato dalle parole di George W. Bush junior (che aleggiano, comunque, in quasi tutte le song del cd), e dal caos di una ruggente chitarra, “No W” s’accende all’impazzata mescolando metal, hardcore, noise ed elettronica, un connubio vincente di vari stili ricamati da un allucinante groove: qui è impossibile stare fermi!
“Warp City”, “WTV” e “World” sono la triade vincente del platter, in cui tutta la violenza, velocità ed irrequietezza targata Ministry raggiunge livelli quasi sconvolgenti oltre che subliminali. Sembra proprio veder traslato, alla luce di oltre un decennio, un loro must “Jesus Built My Hot Rod”, considerato dagli addetti ai lavori come una hit da dance floor (io però sono di tutt’altra opinione), e ridimensionato in una veste ancora più brutale e spaccaossa.
Per concludere, ed era quasi inevitabile, un citazione nella “Track 69” proprio di “Psalm 69”, visto che “Houses Of The Molé” (Molé per chi non ne fosse a conoscenza, è una salsa messicana aromatica al peperoncino dalla consistenza petrolifica, qui adottata come simbolo dell’imperialismo a stelle e strisce) ne sembra il diretto seguace, discostandosi in parte dal precedente “Animositiosomina”, e ricalcando invece le tracce dell’opera che li ha condotti al successo.

Troppe parole sono futili per disegnare questo superbo lavoro del combo statunitense, che si colloca, senz’ombra di dubbio, fra le migliori uscite discografiche del 2004. Un disco non da chiacchierare, semplicemente da avere.

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