Sembrava che ormai i Metal Church fossero destinati a chiudere per sempre la loro avventura nel mondo della musica: il penultimo album, “The Weight of the world”, piaciuto a pochissime persone e la prematura morte di David Wayne avevano fatto credere a tutti che ormai non ci fosse più nulla da fare per la band americana da sempre ambasciatrice dell’heavy metal targato USA. E invece, come se niente fosse, l’unico membro superstite della formazione originaria, Kurt Vanderhoof, senza preoccuparsi troppo delle malelingue, ha ripreso in mano saldamente le redini della band sostituendo il grande Wayne con un nuovo ragazzo, Ronny Munroe, già presente sul precedente disco e autore di una prova davvero buona, e il batterista dimissionario, Kirk Arrington, con Jeff Plate (Savatage, Chris Caffery). Restano a completare la formazione Steve Unger al basso e Jay Reynolds conosciuto per i suoi trascorsi con i Malice, altra ottima power metal band di stampo americano che ha avuto una felice esistenza nel corso degli anni ottanta.

Bene, il nuovo nato in casa Metal Church si chiama proprio “A light in the dark” e sin dai suoi primissimi ascolti ci mostra una band che sembra aver ritrovato i fasti del suo glorioso passato. Già dalla splendida cover, che riprende ancora una volta il tema dell’omonimo debutto del 1984 e di “Masterpiece” targato 1999, ci rendiamo conto di come i Metal Church vogliano tornare indietro nel tempo e basta un momento per rendesi conto che “A light in the dark” è un grandissimo disco che conferma ancora una volta la bravura di Vanderhoof e soci. Granitici riff di chitarra, atmosfere cupe e a volte oppressive, duelli di chitarra e ritmiche paurosamente heavy stanno alla base di questo nuovo lavoro e finalmente ci ritroviamo davanti ad un band rinata sotto tutti i punti di vista, aggressiva e violenta quanto basta per esaltare ancora una volta i nostalgici del gruppo a stelle e strisce. In particolare colpiscono la title track e opener, “A light in the dark, con il suo drumming sostenuto e i suoi riff di chitarra ancora una volta heavy metal e dannatamente incisivi; ancora a seguire “Beyond all reason” e “The believer” brani che vedono Ronny Munroe iniziare a salire in cattedra e a dettare legge, ottimo sostituto dello sfortunato Wayne anche se in possesso di una voce meno incisiva e tagliente; “Mirror of lies” ci fa fare un salto nel passato con un assolo di chitarra semplicemente perfetto, mentre “Temple of the sea” è una semiballad piuttosto interessante anche se non particolarmente energica che anticipa uno dei migliori brani di tutto questo nuovo album ovvero “Son of the son”. Termina quest’album un gran tributo al passato ovvero “Watch the children Pray 2006” (da “The dark”, 1986) con la quale i nostri vogliono rendere omaggio allo scomparso Wayne che, sebbene non riesca a reggere il confronto con la versione originale riesce a farsi piacere in ogni caso. Bentornati Metal Church, ancora una volta uno dei capisaldi del genere è riuscito a farsi largo nelle tenebre del proprio passato tornando con un nuovo ed entusiasmante album.

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