Anno 1999. Il mondo della musica metal era nel bel mezzo dello sconvolgimento e dell’innovazione che era stato portato da un nuovo genere musicale nato solo pochissimi anni prima: il cosiddetto nu metal. Questo nuovo movimento artistico, era nato nel 1994 grazie al fenomenale esordio discografico dei Korn con il loro album omonimo, e come ogni rivoluzione musicale che si rispetti, esso aveva influenzato in maniera decisiva il sound di alcune band storiche a ben altri generi, e addirittura aveva portato la suddetta band ad un cambio di rotta per quanto riguarda il genere proposto.

 

I Machine Head furono forse il gruppo che maggiormente fu influenzato da questa svolta, che andava per la maggiore e ed era anche redditizia dal punto di vista commerciale, infatti furono non pochi i fan del quartetto di Oakland che bollarono Flynn e soci come dei venduti. Ma non ci si ferma qui, in quanto ci fu un secondo e importante cambio nella line up della band: Logan Mader fu sostituito dal molto meno capace Ahrue Luster, a causa di diatribe circa la direzione da seguire. Venduti come dicevamo, questa era sicuramente la parola che veniva associata al nome Machine Head, ogni volta che si parla di questo disco, etichettato dalla stragrande maggioranza dei fan come un passo falso bello e buono. Eppure analizzando bene il disco, l’affermazione non è molto oggettiva, in quanto il platter presenta interessanti spunti di connubio tra il thrash proposto agli esordi e il nu metal.

“THE BURNING RED” è il terzo album del combo Machine Head, prodotto sempre dalla Road Runner Records e uscito il dieci agosto 1999. Dopo la breve intro “Enter the phoenix”, si parte subito in quarta con “Desire to fire”, che mostra subito il nuovo stile della band in cui il cantato reppato di Flynn è ottimo, e non perde la grinta che lo ha sempre contraddistinto, mentre invece finda subito in questo brano, si nota la completa assenza degli assoli che avevano fatto la fortuna dei primi due dischi. Si passa poi a “The blood sweat and tears”, che è sicuramente la song più pesante del disco ed un grande anthem per i concerti, qui si raggiunge l’apice della fusione tra thrash e nu metal. Dopo la pur interessante “Silver”, si giunge alla magnifica “From this day”, che può essere paragonata alla In the end dei Linkin Park, con la differenza che pur se sa di commercialata la canzone è danzereccia e coinvolgente. Un altro brano ben riuscito risulta essere “Exhale the vile” che anc? essa è una della canzoni più pesanti del cd. A questo punto si tira il fiato con una bella cover dei “Message in a bottle” dei Police, in cui Flynn mostra tutte le due qualità vocali anche in vocalizzi melodici. Il resto della tracklist si mantiene su buoni livelli, con particolar menzione per “Defy”, bella tosta molto somigliante a tbtstt in quanto alla carica, e  “The burning red” che rappresenta un esperimento melodico che i machine head riprenderanno con Descend the shades of the night.

Insomma si possono criticare i machine head dandogli dei venduti( come non dare torto ai fan), si può odiare il nu metal, ma non bisogna fare l’errore di sottovalutare la qualità di questo disco, che sicuramente risulta superiore a tutte le uscite di gruppi come i Limp Bizkit, che comunque dimostra che i MH pur cambiando genere riescono comunque a realizzare degli ottimi prodotti.

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