Un altro gruppo italiano di power metal si presenta a noi, i Kaledon che nascono alla fine del 1998 per volontà del chitarrista Alex Mele. Il sound proposto è molto aggressivo con un sottofondo sinfonico che non guasta mai. Quest’album è il primo capitolo di una saga fantasy che narra la storia di due re e delle battaglie che essi conducevano l’uno contro l’altro. Tra una traccia e l’altra sono stati inseriti degli intermezzi come in “Nightfall In The Middle-Earth” dei Blind Guardian.
L’album viene aperto con l’immancabile intro a nome The Calling che è l’unica parte completamente sinfonica del disco. Il lavoro complessivo è buono anche se il tutto è penalizzato da una produzione non all’altezza per gli standard qualitativi attuali. Peccato veramente perché dimostrano in tutto l’album di saperci fare con i loro strumenti anche se dal punto di vista compositivo devono ancora maturare. Le composizioni risultano sufficientemente canoniche, chitarre molto veloci ed aggressive e batteria sempre a manetta come in In The Search Of Kaledon e Thunder In The Sky, ma in quasi tutto l’album compaiono degli assoli di tastiera che purtroppo vengono molto penalizzati dalla produzione. Il cantante ricerca spesso e volentieri l’acuto anche se l’ho apprezzato di più nei toni medi come nella lenta Streets Of The Kingdom dove, in più punti, interpreta il pezzo in maniera molto teatrale. Risulta più elaborata Army Of The Undead King che parte inizialmente sinfonica per poi diventare veloce, traccia in cui Claudio Conti si supera in acuti veramente notevoli. La parte centrale, quella degli assoli di chitarra per intenderci, risulta ispiratissima agli Helloween.
Ho apprezzato molto il lavoro svolto in Spirit Of The Dragon, una vera mazzata per potenza con un ottimo lavoro nei cori ripreso anche in Hero Of The Land, in cui la tastiera si fa quasi psichedelica. Si prosegue con la prima vera e propria symphonic power song God Says Yes, diretta e con un ritornello efficace, che era inizialmente il singolo di presentazione dell’album.
Continuiamo l’ascolto quindi con la breve ballata Deep Forest che risulta sufficientemente modesta, mentre risulta veramente efficace la grandiosa Desert Land Of Warriors, in cui è presente un organo che conferisce quel qualcosa in più rispetto alle altre tracce, e in cui il lavoro di chitarre è assolutamente spettacolare. Chiude il primo capitolo della saga la lunga e ambiziosa The Jackal’s falls, veloce ma non troppo efficace.
Concludendo questo è un lavoro apprezzabile che dimostra le ottime potenzialità di questa band. Il lavoro è stato purtroppo compromesso, come già ho ampiamente evidenziato, dalla produzione non proprio esaltante. Disco consigliabile ai fedelissimi del genere power symphonic.
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