Il mondo del metal non finisce mai di stupire. Quando hai appena finito di girare attorno ai soliti nomi in attesa dell’ennesimo capolavoro che non arriva mai, quando senti di avere tracciato il solco sui tuoi CD dopo anni di ascolti alla ricerca di nuovi spunti, quello è il momento in cui ti imbatti in qualcosa di davvero sorprendente. Qualcosa di diverso, magari non esente da imperfezioni, ma forte di una propria identità artistica. La polacca Mystic Productions, attiva ormai da quindici anni, distribuisce in Europa per colossi quali Metal Blade ed SPV ed è spesso in prima fila quando si parla di sonorità sperimentali. Un anno fa ci aveva sorpreso con il debutto dei Votum, oggi ci riprova con Jelonek, altro talentuoso connazionale dedito ad uno strumento poco convenzionale come il violino. Viene da pensare che se gli amici polacchi ci segnalano un disco uscito circa tre anni fa allora ci sono molte buoni ragioni per essere quantomeno curiosi. Il primo disco ufficiale di questo strano artista potrebbe sembrare il più classico dei prodotti destinati a prendere polvere i nostri scaffali; alla sola parola “violino”, immagino che la vostra curiosità abbia lasciato il posto ad una smorfia di disgusto ma non temete, dei soliti noiosissimi connubi fra metal e classica quì non c’è neanche l’ombra, e se pensate poi che il violino sia uno specchietto per le allodole buono ad attrarre smanettoni neoclassici delle sei corde, siete decisamente fuori strada. Nel lavoro di Jelonek c’è qualcosa di molto più personale. Ci sono brani piuttosto brevi dall’ impianto essenzialmente rock a cui si aggiungono spunti di diversa estrazione, melodie orientali, tango, tzigane, sontuose arabesque barocche e, non da meno, una bella dose di corposissimi riff metallici! Descritto così il disco potrebbe sembrare un minestrone di di dubbio gusto ma credetemi, non è affatto così. Titoli bizzarri quali “Funeral For A Provincial Vampire”, “Lorr”, “BaRock”, “Vendome 1212” rispecchiano appieno le intenzioni di questo bizzarro violinista abile a cavalcare tradizione e modernità senza il rischio di sembrare la caricatura di un genere.
Sul suo myspace Jelonek cita non a sproposito Steve Vai, Musorgski, Beethoven, Czajkowski, Bach, Vivaldi, Metallica, Rage Against the Machine e Sepultura. A voler azzardare un ulteriore paragone mi viene da citare il mitico Rondò Veneziano, forse l’esempio più riuscito di connubio fra elementi pop-rock e orchestra da camera, da cui Jelonek mutua il gusto di mischiare suoni antichi ad arrangiamenti moderni.
Diversamente dalle consuete proposte strumentali in quarantacinque minuti di musica la noia non fa mai capolino e non vi sarà difficile memorizzare qualche bella melodia sin dal primo ascolto.
Non voglio affatto convincervi che sia il disco della vita o che abbiamo fra le mani un innovatore in senso assoluto, ma se siete amanti delle proposte non convenzionali il lavoro di questo strano artista un po’ sui generis potrebbe fare decisamente al caso vostro.