Provenienti da Udine, i Jar Of Bones si affacciano sul mercato con questo loro primo album di hard rock dalle tinte moderne e che strizza l’occhio a gente quale Velvet Revolver e Alter Bridge. Di per sé la proposta di questi cinque ragazzi è buona, accattivante quanto basta, ma al contempo pesante a sufficienza da poter piacere agli appassionati di sonorità più dura. L’unica cosa che davvero non va è la voce di Nicola Sartor, troppo fuori luogo in un contesto del genere e che penalizza la riuscita globale dei brani con una prova non all’altezza della situazione. Sono giusto un paio gli episodi che calzano a pennello per le sue corde vocali, ovvero “My Magdalene” e “All My Friends Are Gone”, ma gli altri si sente che non sono stati composti pensando al timbro di chi li avrebbe dovuti cantare. Per il resto “A Red Stain” è un buon album, cazzuto e suonato da musicisti con gli attributi, in particolare i due chitarristi che ci mettono veramente l’anima e danno vita ad alcuni riff veramente incendiari e degni di nota, “Walk Of Hate” su tutti. La sezione ritmica risulta, invece, un po’ in ombra, complice il fatto che le canzoni sono relativamente lineari e quindi offrono pochi spunti di creatività per il bassista Umberto Campagner ed il batterista Michele Zanuttini.
In sostanza, “A Red Stain” non è affatto un disco da buttare, ma ha ancora parecchi aspetti che vanno limati e c’è una sola cosa che permette di svolgere questo compito: l’esperienza. Trattandosi di un debutto, i Jar Of Bones hanno tutto il tempo di farsi valere con le prossime uscite discografiche. Nel frattempo è consigliabile macinare chilometri per rodare al massimo il proprio sound e promuovere il disco, in modo tale che, dal responso del pubblico, vengano fuori quei particolari da modificare. Se saranno in grado di evolversi, i cinque udinesi saranno presto pronti a fare il salto di qualità e, magari, li vedremo anche di spalla a qualche grosso nome, non si sa mai.

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