Dopo esserci lasciati alle spalle “The Tall Sheeps”, gli It Bites ritornano e si ripropongono con un disco molto carino sia dal punto di vista sonoro, che da quello concettuale. Questo lavoro scritto da Mitchell e Beck, si apre come un vero e proprio album di ricordi. E’ l’emozione davanti a una vecchia fotografia in colori sbiaditi dal tempo, esattamente come quella di cui parlano gli It Bites in questo disco dall’impronta tenera e sensibile, ma con onde di rock calcate al momento giusto, come se stessimo ripercorrendo parte della vita di quell’uomo, nella fotografia : la passione, l’amore,i suoi valori, le gelosie, le perdite. Lui è il filtro di un tempo passato, di un secolo fondamentale per l’Inghilterra, in cui ha visto splendore e gloria , ed il tutto cantato e raccontato da una generazione successiva, che probabilmente avrebbe voluto entrare metafisicamente in quel periodo, o forse nella fotografia stessa . E c’è riuscita a raccontare cos’ha visto e provato quell’uomo e probabilmente quei secoli che noi non potremo mai vedere, ma ci affascinano, esattamente come solo un’immagine in bianco e nero, già di per se riesce in quell’ intento.

Nel dettaglio, questo “album fotografico” si apre con “Man in the Photograph”: una vecchia radio riproduce malinconie del passato, che riaffiorano al presente, descritte da occhi che scoprono una fotografia di famiglia, per caso, nella quale compare un uomo. Secondi di immagine fisse su di lui, che Mitchell inizia a narrare ed attraverso quelle, fa parlare quell’uomo, attraverso la sua voce.

Si passa alla seconda track, “Wallflower”, che sorprendentemente ricorda un misto tra Led Zeppelin e Tears for Fears. È un soft rock nel complesso , delicato come un fiore ma alto e potente come un muro, in alcuni tratti , grazie allo stampo sinfonico oserei dire “kashmiriano”, proprio come se dovessimo descrivere appunto un “muro di fiori”. Una manciata di secondi di psichedelica non guasta, per far risaltare ,probabilmente, i colori quel particolare muro.

“Map of the Past”, la terza track . Qui c’è l’impronta dell’uomo, del suo onore e del suo orgoglio , lo si percepisce dal ritmo cadenzato dei suoi passi, quello della batteria di Dalton, le sue emozioni dagli assoli di chitarra e i suoi valori dalla profondità dal basso di King. La voce di Mitchell ha toni alti, probabilmente come la testa di quell’uomo,come ogni uomo possiede teoricamente davanti al suo orgoglio e alla sua consapevolezza, che rimane intatta, anche dopo la morte.

Ma ecco che arriva il momento “malinconia”per eccellenza, il “momento pensiero al passato ” con Clocks, assolutamente “TearsforFearsiano”, almeno personalmente me li ricorda parecchio. La voce del cantante e i cori fanno una cornice perfetta a questi orologi del tempo, gli stessi che compaiono nella copertina, gli stessi che probabilmente ha utilizzato quell’uomo e gli stessi che hanno racchiuso il suo tempo.

Si passa a “Flag” : decisamente in stile anni 80, rock anni 80, ma d’altronde questo concept album è stato fatto da una band nata in quegli anni, e quindi l’impronta rimane. Per i nostalgici sicuramente è un brano perfetto. La bandiera è l’identità di un popolo, in questo caso proprio dell’ Inghilterra – E’ memoria collettiva, qualcosa che appartiene a ognuno e a tutti, quindi, parafrasando personalmente e musicalmente questo pezzo, potrei dire che rappresenta in un in modo implicito anche il gruppo stesso, rimarcando le proprie origini appartenenti ,appunto, agli anni ‘80. Questa è una “concept song” a parer mio , significativa.

“The Big Machine” : qua già andiamo sul rock un po’ più deciso, che però viene stroncato subito alle prime note della voce del cantante, che risulta troppo “gentile” per poterlo appesantire. Anche nel ritornello si trova forza, potenza media , ma assolutamente perfetta per descrivere che “questa grande macchina mi sta dicendo di amarti, la grande macchina mi sta emozionando”. Anche qui la psichedelica non manca con uno slego di chitarra breve, ma intenso, forse come un emozione , di quelle che non fai neanche in tempo a concepire o come quelle che si hanno nei confronti della propria patria, anche a costo di dare la vita per questa.

“Cartoon Graveyard” : canzone dal ritmo vivace ed allegro, pare quasi di stare al parco giochi o alle giostre, soprattutto nell’intro. Ma ilarità a parte, carina e leggera , di buon accompagnamento al testo, che sdrammatizza questo “cimitero per cartoni animati”
“Send no Flower” : una marcia solenne nell’intro. Il ritmo sembra quello di un uomo ferito, deluso, arrabbiato, respinto, o forse più semplicemente , ormai finito. La voce è malinconica, quasi come se stesse camminando su una strada e si fermasse a volte , per guardare indietro e tornarvi, ma ormai non può più.

“Meadow and the stream”: Atmosfere sonore sempre alla Tears for Fears . A sorpresa troviamo cambi di ritmi , assolo di chitarra e psichedelica , che stanno a descrivere bene “il prato ed il flusso”di cui stanno parlando, che ospita il soldato che finalmente è unito alla sua terra, ora anche in forma fisica.

“The Last Escape” : rock ballad, che al di là del testo, la si percepisce, dal pianoforte che da un impronta ancora più dolce e triste allo stesso tempo. E’ un addio, il suo ultimo addio. Assolutamente perfetta la voce del cantante che con l’alternanza di tono fa quasi intuire il movimento di chiusura delle palpebre, e la voglia però di continuare ad lasciarle aperte. L’assolo di chitarra è come la chiusura di quell’immagine, è la visione di quell’uomo steso a terra, o meglio sottoterra ormai. Ed il piano si ripete, come una foglia , che si appoggia lenta sulla sua tomba, o come la sua anima che sale.

Exit Song” : Viene ripresa l’apertura all’inizio dell’album. La vecchia radio prima in apertura e via via in sottofondo, che riproduce trasmissioni dal passato, il piano , la chitarra acustica e la voce del cantante, riescono a far risaltare perfettamente la scena di lui che tiene tra le mani la fotografia di questo uomo, e che commosso, la sta per riporre nel cassetto salutandola con un semplice :”Goodbye”e chiudendo questo fantomatico “album fotografico” .

Nel complesso questo album è un lavoro ben riuscito dal punto di vista interpretativo. La musica è adeguata alle parole, ma soprattutto a quello che la band, seppur con una certa leggerezza a livello armonico, tenta di riprodurre a livello emozionale. In conclusione, missione compiuta per l’obiettivo che volevano raggiungere , rispettando il loro canone progressive, fusion e pop-rock.

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