Il fascino che poteva avere un evento, naturalmente portatore di stupore e meraviglia, come una reunion fino a qualche anno fa, è decisamente venuto a scemare nell’ultimo periodo a causa di un sempre più frequente accavallamento di ritorni più o meno rumorosi, attesi o graditi. Se qualcuno, infatti, stava tentando di archiviare l’interminabile lista di band riformate, lo stesso è pregato di ritornare sui propri passi per riprendere carta e penna ed annotare in fondo al già enorme elenco anche i rispettabilissimi Gorefest.

Lontani dalle scene da quasi otto anni, i quattro storici deathsters tornano sulle scene con un disco ruvido, cupo pieno di rabbia e carica evidentemente accumulata in tutti questi anni di attività scarsa o (per qualcuno di loro) addirittura inesistente.
Paradossalmente da quanto evocato dal titolo del disco, i dodici brani presentati sanno tanto di rinascita e ritorno al passato. ‘La Muerte’, seppur con le dovute e più che giustificabili differenze, riesce con abilità ed efficienza a racchiudere in sè molti degli aspetti che avevano portato i Gorefest alle meritate e numerose approvazioni riscosse con primi lavori discografici. A conferma di ciò il sound che emerge dal lavoro in questione è un death metal mai troppo ricercato negli arrangiamenti, talvolta in questo aspetto quasi anacronistico, ma al contempo pieno di elementi che riportano alla genesi artistica del gruppo. I brani proposti sono, infatti, per la maggior parte assimilabili ad un death metal pesante, oscuro, avvolgente che, rispettando rigidamente la tradizione voluta dalla formazione olandese, offre elementi subito riconoscibili ed accostabili alla band come i riff striscianti (talvolta ai confini del doom), le twin guitars che accompagnano le composizioni dalle strofe ai bellissimi assoli e la buona voce di Jan Chris de Koeijer.
Quest’ultima caratteristica è in grado di impersonare in pieno la vena dei “nuovi” Gorefest con uno stile che, pur rimanendo cavernoso e basso come in passato, riesce a risultare più oculato ed espressivo. Ed è così che, tra un rimando al passato ed un altro, emergono senza dolori e forzature novità ben viste come una produzione che vince il paragone con qualunque episodio precedente, qualche mid tempo di concezione più moderna e qualche azzardo lanciato verso la fine del disco.

Qualche ripetitività di troppo che non esita a nascondersi dopo ripetuti ascolti ed ovvie, ruggini dovute ad anni lontani dalla propria creatura creativa prediletta, intaccano la qualità di un disco che, seppur non sempre esaltante, riesce in ogni caso a rimanere godibile ed apprezzabile per la maggior parte della sua durata. Per chi ha amato i fasti di ‘False’ ed ‘Erase’ un nostalgico ritorno ad emozioni passate, per tutti gli altri un salutare assaggio di esperienza ed arte di far male senza eccedere nè strafare.

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