Pensando al Cile, musicalmente parlando, vengono subito in mente gli Intillimani, e con loro tutti quei gruppetti di musica popolare che vediamo spesso anche nelle nostre strade e piazze, quelli per intenderci caratterizzati dal suono di sikus, rondadores, quenas, chitarre, etc. e si pensa erroneamente che quella sia l’unica musica di quel paese (come se da noi tutti portassero avanti la tradizione napoletana…). Quando mi è arrivato il cd di un gruppo di tali latitudini non nascondo quindi che l’ho fatto partire con molta curiosità e, per quello che ho appena detto, con un immotivato sorrisino ebete stampato in faccia. Dopo la sorpresa iniziale per l’inaspettata proposta del gruppo (chi si sarebbe potuto aspettare un disco di puro sleaze metal da un gruppo cileno?), quel sorrisino c’è ancora, ma è un sorrisino diverso, di soddisfazione.

Nati nell’estate del 2001 col nome di Sovereign, poi mutato in Roadkill con l’arrivo del talentuoso chitarrista Javier Bassino e quindi ancora nel definitivo Fahrenheit, questi 5 ragazzi dopo vari cambi di line-up a novembre dello stesso anno partoriscono due singoli promozionali (l’elettrica e chitarrosa “Chains ‘N’ Cellars” e la ballad “Be Mine”) che diventano richiestissimi nelle radio locali e gettonatissimi su mp3.com. Dopo un EP dal titolo “Chain Reaction”, altri cambi di formazione, la partecipazione a due compilation e un tour al di fuori del Cile attirano finalmente l’attenzione della Perris Records che li mette sotto contratto per la distribuzione di questo disco d’esordio. Ok, ma com’è questo disco? I Fahrenheit non propongono assolutamente niente di nuovo (anzi!) ma lo fanno con una freschezza e un piglio a cui è davvero impossibile restare indifferenti. Brani come l’iniziale “Prom Nite”, “King Of The Night”, “Roadkill” o ancora “Chains ‘N’ Cellars” sono quanto di più sentito ci possa essere ma trascinanti e goduriose, e in più arricchite dal brillante solismo del già citato Javier Bassino, autore di una prova decisamente superiore alla media. Due ballad, “Be Mine” e la conclusiva “Two Souls One Heart”, in cui appaiono evidenti gli ascolti ripetuti dei vecchi dischi di Bon Jovi, una bonus track (la cover di “Black Star” dei Carcass, tra l’altro identica all’originale), 40 minuti insomma senza troppe pretese, che vi richiameranno spesso alla mente i gruppi più in voga una quindicina di anni fa e che scivoleranno via decisamente in maniera piacevole lasciando anche a voi, alla fine, quel sorrisino di cui parlavo all’inizio, indice di un disco semplice semplice ma riuscito.

Se amate le sonorità anni ’80, se volete fare un giro nel passato relativamente recente del continente nordamericano, quando Cinderella, Britny Fox, Bon Jovi prima maniera, Skid Row e compagnia bella erano diffusi a rotazione ininterrotta da tutte le emittenti radiofoniche del paese e non avete la mitica Delorean per farlo, cercate il cd dei Fahrenheit, il risultato sarà lo stesso.

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