Ottimo lavoro è quello che si può dire di questi italo- inglesi Endless Coma. Non male veramente, anche perché questo album,”Rising Rage”, più che far incentrare sulla tecnica sonora, fa risaltare più caratteristiche “emotive”, ovvero, album riuscito nell’intento comunicativo e interpretativo di determinati stati d’animo. Al di là dei testi, al di là di ciò che vogliono esprimere concretamente, a me ha colpito come hanno voluto comunicarlo. Credo che facciano una bella pippa a un quadro di Picasso, nel modo più positivo di questa affermazione : mix di sonorità, di vocalità. Le atmosfere sono prettamente oscure: tutti gli stati d’animo della parte oscura, sono rappresentati egregiamente in questo disco. E’ rabbia, frustrazione ma realtà: l’abisso di rabbia, quello più irrazionale e istintivo (voce death) è alternato dalla realtà della vocalità bellissima, “angelicamente nera” di Dark Priest, che secondo me rappresenta la realtà, quella razionale, quella fatta sì di aspettative, ma terribilmente frenata dalla spazzatura che gli si presenta intorno e poi ecco, riapparire la rabbia più incontrollata.
E’ un altalena di sfogo il loro disco, funziona per tutti coloro che hanno bisogno di ascoltare qualcosa di più o meno hard e più o meno melodica e sognante: il basso e i riff di chitarra death sono decisivi per rappresentare la rabbia, la parte di chitarra melodica (soprattutto, ascolterete nella seconda parte del disco), sono i sogni e l’alternanza di vocalità dei due generi che predominano, accompagnano appunto, esattamente , tutto ciò.
Questo per dire che, anche se avessero cantato in una lingua incomprensibile, si sarebbero fatti capire lo stesso tramite le sonorità e toni vocali. E’ orecchiabile a tratti, ma non eccessivamente, ogni canzone è una sorpresa, ognuna è diversa dall’altra, ma con ciò voglio dire che comunque c’è una certa omogeneità e linearità nell’ascolto. La voce a tratti tremante ed incerta di Dark Priest, da i brividi giusti per anticipare quella rabbiosa e graffiante e ciò è davvero studiato molto bene, per attirare ancor più attenzione sull’album in quanto acquista toni ancora più “cavernicoli” quella death. Potrebbe risultare disordinato in alcuni punti, proprio per la varietà di sonorità, ma si recuperano certi disequilibri, proprio perché c’è fusione completa dei generi.
E’ un nu metal con gli attributi e finalmente ci sono degli italiani, nati da poco (nel 2010), che hanno deciso di fare un lavoro che lancia il loro Lp in modo egregio, sperando che continuino così anche per i lavori successivi. Insomma Lp alternative/nu metal, che può stare benissimo a pari di tanti altri “grandi”e non italiani. Le cose sono due : o hanno avuto bravi “maestri”, oppure hanno talento davvero.
La parte dell’album che mi è piaciuta di più è la seconda, per i miei gusti: elegante, malinconica, la voce di Dark Priest è come un cantastorie di dolore, sofferenza, delusione, di toni grigi e neri, orizzonti sfumati e sogni infranti, la sua vocalità pura e pulita è quella che più mi piace e quella che da “realtà” a ciò che prova. “You’re my God” è effettivamente il pezzo che in assoluto mi è piaciuto di più di questa seconda parte. Non so perché ma Dark Priest mi ricorda anche tantissimo il buon Layne. Riassumendo abbiamo un album fatto da due parti : una con più grinta e rabbia data da maggior presenza di death, la prima parte appunto e la seconda più melodica, ma molto più oscura. Tutti i musicisti hanno contribuito a questo album, che si merita un voto alto, non solo per fiducia, ma per merito, dato che in Italia si sa bene che si è premiati assai raramente per merito e magari, anzi per mia interpretazione direi sicuramente, anche questo, rientra nella delusione dei toni e dei testi cantati da loro relativamente ad un’amara realtà che tutti i giorni ci si presenta.

Dimenticavo di citare la loro genialità per quanto riguarda intro dell’album” Prelude to the End” , già il titolo è un bel “controsenso” a un inizio album, però i contrasti a me piacciono assai, ma è altrettanto vero che sono assolutamente coerenti con lo sviluppare dell’intero album, che culmina in questo abisso di rabbia che sale, ha un termine, sfociando in un finale certamente particolare, come ”The Last Minute”. Io li avevo in cuffia, al di là dell’effetto realmente “coma” che da il pezzo (azzeccato quindi con tutto, pure con il loro nome) direi che è ipnotizzante. Bravi. Hanno riassunto la parte più intima ed oscura dell’uomo, di fronte alla sua negatività verso tutto ciò che lo circonda e nel finire di credere solo nella morte dei sogni, facendo vincere la dura e depressiva realtà.

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