Con Skjend Hans Lik non ci troviamo davanti un nuovo lavoro dei Carpathian Forest, ma una raccolta che potrebbe presentarsi accattivante sia per chi il gruppo lo apprezza da molto, sia per chi conosce i norvegesi solo superficialmente e vorrebbe esplorare con maggior attenzione altri lati della loro produzione.
Le tracce riunite in questa compilation ripercorrono infatti vari stadi della storia del gruppo: si parte dagli ultimi lavori, con quel capolavoro chiamato “Defending The Throne Of Evil” del 2003 da cui sono estratte Skjend Hans Lik (che da appunto il titolo alla raccolta) e la terza Spill The Blood Of The Lamb, presentata in un’altra veste, più graffiante e dalle chitarre più zanzarose. Fra i primi brani compaiono anche un buon pezzo comparso per la prima volta su cd, il secondo “Humilation Chant”, e una versione live di Martyr/Sacrificulum dall’album “Strange Old Brew”, che mostra lo stadio intermedio della band, che mosse i primi passi verso il suono più compatto e certo degli ultimi anni.
Per le ultime cinque tracce bisogna addirittura tornare indietro fino al ’92, quando uscì il primo lavoro del gruppo, il demo “Bloodlust and Perversion”, sensibilmente diverso dalle ultime opere Carpathian Forest. Peccato solo non siano estratti momenti anche dall’altro superlativo lavoro del gruppo, il vecchissimo “Black Shining Leather”, forse il più melodico e anche il più deviante dal loro stile abituale (e per questo probabilmente scartato).
Ovviamente questo esperimento permette a un gruppo multiforme come i Carpathian di ripercorrere tutta la loro carriera, iniziata più di dieci anni fa, che li ha portati a costituire oggi una delle realtà più solide di tutta la scena black metal. Un album simile si presenta inevitabilmente variegato, ma permette anche di costatare come nonostante il gruppo abbia percorso diverse strade del black metal, l’aderenza alla vecchia scuola non sia mai stata abbandonata concedendosi a compromessi o utilizzando infiltrazioni di altri generi del metal estremo.
I pezzi scelti in questa raccolta vanno da soluzioni più sicure e facilmente assimilabili degli ultimi anni, con produzione più massiccia, riffing più veloce e impatto giocato sulla potenza del suono, a soluzioni raw black del demo, con chitarre abbastanza impastate, voce più roca e un suono molto più confuso e vischioso, tutti di indiscusso valore (la sesta The Woods Of Wallachia con la sua atmosfericità ha un alto potere evocativo).
Con il pezzo live i Carpathian ci danno anche un assaggio delle loro performance live, in cui fra breve saranno impegnati nuovamente nel nostro paese, accompagnati da altre leggende norvegesi, gli indistruttibili Tsjuder.
Nella raccolta è presente anche il video del pezzo “Carpathian Forest” dove alla loro performance live si mescolano le solite immagini di stampo satanista.

Una raccolta quindi che può essere davvero interessante per chi apprezza sia il black nella sua matrice old school, sia per chi ama le realizzazioni più grezze, dal sapore underground che hanno i demo e un certo tipo di black.
Per gli altri, un disco pericoloso, che potrebbe far scadere il mito Carpathian Forest degli ultimi tempi.

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