In questo inizio 2009, denso di uscite molto belle, ecco che assistiamo anche al ritorno sulle scene dei Cannibali di Tampa. Forse IL gruppo death metal brutale per antonomasia, non solo a livello di proposta musicale, ce ne sono di sicuro altri di pari livello, ma i nostri si sono guadagnati lo status di vere e proprie leggende dopo aver ragguinto il fatidico milione di copie vendute della loro intera discografia. Cifra, questa, che per un gruppo così estremo con un immaginario così controverso, rappresenta un vero e proprio evento da ricordare negli annali.
Una band, i Cannibal Corpse, da sempre considerata quasi un “feticcio”, addirittura star come Jim Carrey (memorabile l’apparizione della band sul primo film di Ace Ventura) o Cameron Diaz, non hanno mai negato la passione per il quintetto floridiano. Insomma, 20 anni di successi, a volte molto controversi, che hanno contribuito a scrivere la storia della nostra musica.
Lo split con lo storico singer Chris Barnes (ora mente dei Six Feet Under), a metà degli anni 90, ha fatto non poco discutere, ma l’arrivo del gigantesco George “Corpsegrinder” Fisher ha messo a tacere tutti. Dopo qualche disco di assestamento, secondo il sottoscritto si è raggiunta la perfezione con un capolavoro qual è stato “The Wretched Spawn”. Poi una conferma con il buon “Kill”, anche se non agli stessi livelli, dopo la dipartita un po’ polemica dello storico chitarrista Jack Owen. Sarà anche una statua dal vivo, ma è pur sempre stato un grandissimo compositore, e con il ritorno del comunque ottimo Rob Barrett al suo posto, il livello generale delle songs si è un po’ abbassato. C’è quindi da vedere se con questo nuovo “Evisceration Plague” i cinque sono riusciti a mantenere alta la loro fama. Dispiace dirlo, ma le mie altissime aspettative sono state un po’ deluse.
Cominciamo col dire che il dischetto in questione è sicuramente fra le migliori cose che si possono trovare in giro in ambito death brutale. I Cannibal rimangono pur sempre fra i migliori. Nessun fan rimarrà deluso da questo album, questo è sicuro. Quello che fa però venire qualche dubbio, anche e soprattutto ad uno come me, da sempre loro grande estimatore, è la presenza di alcune tracks di livello basso, che puzzano molto di compitino svolto un po’ svogliatamente. Infatti la caratteristica principale di questo prodotto, è l’alternanza evidente fra pezzi davvero letali ed altri più fiacchi. A favore del combo gioca sicuramente l’abilità strumentistica raggiunta nel corso degli anni. Annoverare in formazione uno dei migliori bassisti che si possono trovare in giro come Alex Webster, o un chitarrista dalla tecnica così sopraffina come Pat O’Brien, non è cosa che tutti possono permettersi. Di album in album non si può non far caso alla maturazione che si evolve sempre di più. Però questo non basta per fare di un disco un capolavoro.
La produzione è affidata al frontman e chitarrista degli Hate Eternal, Erik Rutan, tecnico del suono sempre più affermato e ricercato. Il lavoro svolto è a dir poco minuzioso, di questo dobbiamo farne un plagio all’ottimo musicista.
La prima mazzata si chiama “Priest Of Sodom”. Ma a differenza di quello fatto nei due full-length precedenti con le rispettive openers, non è velocissima e tirata all’inverosimile, ma anzi, è un po’ troppo impacchettata e lunga, risultando per niente adatta al ruolo che deve svolgere. Meglio sarebbe stato invertire la sua posizione nella tracklist con la seconda, “Scalding Hail”, meno di due minuti di durata, un assalto frontale di rara potenza e devastazione. Questo pezzo va a formare, insieme al quinto “Beheading And Burning” e al settimo “Carnivorous Swarm”, il terzetto perfetto di “Evisceration Plague”. Se tutto il resto si fosse assestato su questi livelli dovremmo veramente gridare al capolavoro. Invece, purtroppo, abbiamo a che fare con altre nove canzoni, alcune buone e alcune non così convincenti, seppur al di sopra di qualunque altro gruppo. “To Decompose” è discreta, quello che la caratterizza di più in positivo sono sicuramente il bel break centrale più cadenzato e alcuni riff azzeccati. “A Cauldron Of Hate” è forse troppo lunga e complessa, alla lunga risulta noiosa e, purtroppo, prolissa. Meglio “Evidence In The Furnace”, non certo un gioiello ma pur sempre godibile. La title-track di nuovo si confonde un po’ nell’anonimato, più cadenzata delle altre, ma va a sprofondare di nuovo nella ripetitività, causa quella sensazione di “già sentito”. L’inizio di “Shatter Their Bones” è davvero spumeggiante, e qui apro una piccola parentesi su quello che avrebbero dovuto fare i nostri per tutta la durata dell’opera. I pezzi che più si distinguono sono quelli dove il rifferama è più innovativo. Sulle songs migliori quello che stupisce sono dei giochi di chitarra pazzeschi, dove viene da chiedersi come possano essere così veloci nel riprodurli. Sarebbe stato meglio se queste idee avessero condizionato l’andamento di tutto questo prodotto.
Si arriva infatti agli ultimi tre brani, dove si conferma quanto detto finora. Molti spunti interessanti, per carità, ma una ripetitività di fondo che fa passare per la testa un solo aggettivo: “anonimo”. Si potrà anche contestare che un buon disco è un buon disco, ed è sbagliato accusare una band di non essere innovativa, ma qui i cinque hanno dimostrato che è così, perchè le canzoni buone ci sono, e fa rammaricare che non tutte siano così di livello elevato.
Insomma, una prova riuscita non COSI bene. Sicuramente piacevole, come detto da annoverare fra le migliori uscite in ambito brutal death, ma dagli autori di capolavori del passato come “Tomb Of The Mutilated”, “The Bleeding” e il più recente “The Wretched Spawn”, ci si aspetta sempre il top del top, che in questo caso non è stato del tutto raggiunto.
Piccolo sassolino da togliere, permettetemelo. Voglio solo esprimere il mio grande disappunto e delusione nel vedere che nell’imminente tour i Corpse faranno da spalla ai Children Of Bodom… Ah, il potere del marketing!