Giungono al secondo album i quattro ragazzi originari di Odense, e lo fanno dopo un’attesa lunga 7 anni.
Il sound non si discosta molto da quanto già proposto dai nostri in precedenza, e significa un intreccio di Thrash e Power metal dal sapore molto americano, con sonorità mai pompose e anzi a tratti davvero molto asciutte.
Il suono è semplice e diretto, e questo può essere un ottimo pregio del lavoro (poiichè mette evidentemente in risalto le doti dei quattro componenti della band), ma ne è anche uno dei maggiori difetti, in quanto ciò che ne deriva è un sound scarno che a tratti sa di già sentito e che strizza l’occhiolino agli anni ’80 del metal senza però averne quel fascino e quell’alone di novità che avvolgeva tante composizioni dell’epoca.
Un lavoro difficile da giudicare, perchè i quattro ci sanno fare e lo dimostrano in song quali la particolare titletrack “Lapdance For The Devil “, in cui deve essere apprezzato l’ottimo lavoro delle guitars in una song dal sapore retrò eppure molto riuscita e originale.
Il “momento buono” prosegue con la puramente power-teutonico “Risky On The Rocks”, in cui le sonorità dei Saxon vengono riprese e accellerate per un pezzo intuitivo e sempliciotto ma valido.
Poi il livello delle songs inizia ad appiattirsi un po’ e sedimentarsi su livelli da “già sentito”, con sprazzi di qualità musicale notevole dispersi però quà e là in un calderone difficile da capire, frutto forse di una eccessiva voglia di sperimentare o di dimostrare le proprie doti, che alla fine però crea trame sonore un po’ intricate e difficili da catturare per l’ascoltatore, tra doppiacassa imperante e velocissima quasi black metal e improvvise e bruschissime frenate, tra una strizzata d’occhio agli Hardcore Superstar quà e una agli americani Iced Earth là.
Carne al fuoco ne viene messa parecchia con questo disco da parte degli Anoxia, che dovranno però essere in grado di selezionare il proprio sound creando una maggiore linearità nei pezzi, considerando che, a mio avviso, il meglio viene fuori nei tratti rabbiosi e veloci di Thrash, mentre il Power risulta davvero troppo legato a doppiofilo ai capisaldi del genere, rischiando di far gettare la band nel calderone di quelle tante power band etichettate come sosia di qualche altra più conosciuta e un po’ messe da parte sia dalla stampa che dal pubblico.
Insomma non un lavoro negativo e nemmeno malvagio, ma assolutamente onesto, che però non cattura a fondo chi lo ascolta.

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