Eccoci di fronte ad un esordio notevole. Mi è arrivato il cd di questi nuovi A Hill To Die Upon e subito mi ha colpito lo splendido lavoro grafico fatto per copertina e interno della confezione del cd (hanno fatto i brillanti inviandoci la versione deluxe con otto pannelli-tavole disegnate): un mix di fantasy, black e dark consensato, a confondermi ancora di più le idee sul genere che questi quattro americani stavano per propinarmi. Si, perchè il retro della confezione ci mostrava orgogliosi i fratelli Cook, vere anime di questa band, come due vichinghi, sporchi e in abiti da battaglia. E così la mia mente automaticamente si è preparata ad una dose di viking-pagan metal.
Invece no: fottuto, cattivissimo black metal, che attinge a piene mani dai Dimmu Borgir, con pizzichi di Behemoth quà e là.
Un bel debutto si diceva: già, io sono un fans del black, ma spesso le nuove produzioni (e generazioni) si ostinano a voler riproporre un sound già sentito, migliaia di volte, portando sul mercato album che subito colpiscono per intensità e capacità tecniche ma finiscono presto per stufare.
Qui ci troviamo di fronte a un qualcosa di completamente differente.
La voce di Adam Cook è varia e aggressiva, passando dalle tonalità di Shagrath a quelle di Ribeiro dei Moonspeel, di cui si sentono influssi in alcuni brani.
Si parte con un tipico brano black, puro e crudo, “Of Fire And Division”, seguito da un più oscura e sinistra “Prometheus Rebound “, caratterizzata da sonorità quasi gotiche, doom, e effetti sonori davvero d’impatto.
Ma il clou dell’album si ritrova nell’accoppiata “This King Never Smiles “, in cui un inferocito Adam Cook aizza i compagni per una prova di aggressività e potenza sonora, in cui il cantato diventa quasi più death che black, per una convincentissima hit del disco che si ricorda già dopo il primo ascolto per l’assolo di chitarra finale, e soprattutto la superba ” Season Of The Starved Wolf”, in cui Michael ruba senza dubbio la scena al singer e fratello Adam, diventando protagonista di una prova ottima e concreta, fatta di velocità e precisione, doppiacassa imperante e tamburi da battaglia, per quella che dal vivo dovrebbe essere una svita-teste di ottima fattura.
Suono lontano e freddo dà il via alla successiva “Twin Heads Of Vengeance “, dove ancora l’ottimo lavoro di drumming diventa il reale protagonista, tra chitarre distorte in grado di ricreare un atmosfera malata e opprimente, che dopo un inizio song molto cadenzato esplodono in una lucida follia di velocità.
Estremamente Borgiriana “Heka Secundus (On Slithering Ice) ” che sembra una song proveniente dai primissimi album di Silenoz e soci, ma con un piede pigiato sull’acceleratore. Qui la melodia e le tastiere, così come gli effetti sonori quasi spariscono per lasciare un suono grezzo, diretto.
Ancora il tempo per sorprenderci con il breve intramezzo di “We Soulless Men “, chitarra acustica e pace intorno, prima che la violenza abbia di nuovo il sopravvento.
In definitiva, un album veramente notevole, soprattutto considerando che si tratta di un debutto e che 3/4 dei componenti della band sono under 20.
I quattro però ci danno dentro, e miscelano nel loro purissimo e ben suonato Black Metal anche un po’ di thrash che “in the U.S.A. ” ha trovato un bacino apparentemente sempre fervido, e il death scandinavo, personalizzando senza snaturarlo un genere che a mio modo di vedere aspetta uscite come questa come un deserto attende l’acqua piovana.
Un debutto che non merita il massimo dei voti solo per alcuni passaggi un po’ a vuoto, con song ben suonate ma che restano nella norma, non decollano anche se sembra, ascoltandole, che possano farlo da un momento all’altro.
Se però pensiamo all’età dei musicisti in questione fa impallidire una tale maturità, soprattutto compositiva, fatta prendendo spunto e non copiando dai propri idoli. Colpisce inoltre il grande equilibrio sonoro, che nonostrante si accelleri e si rallenti a più riprese non va mai fuori ritmo, e non crea mai quel senso di eccessivtà che spesso rende il suono caotico e di difficile interpretazione.
E poi splendida la scelta dell’autore dell’artwork, Bogdan Of Serbia. Occhi aperti in futuro su questi “A Hill To Die Upon” (e peccato per il nome forse poco black….).

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