Ambiziosi. Artistoidi. Indisponenti. Ma anche ammalianti, seducenti, geniali. Mutevoli nelle forme eppure sempre riconoscibili, corrotti nel profondo ma in qualche modo puri. C’è più di qualcosa di viscerale nell’arte degli Ulver, sebbene essa venga poi forgiata in un modo estremamente razionale e meditato. “Perdition City” è probabilmente l’apice della carriera della band di Garm, e racchiude in sè tutto questo. Il black degli esordi è ormai completamente sparito (almeno musicalmente parlando, perchè nelle intenzioni non lo è affatto), ed ha lasciato posto all’elettronica più sperimentale, che crea quadretti dal sapore decisamente nordico, futuristico e notturno. Il sottotitolo dell’album è “Music to an interior film”, ed è una descrizione perfetta di ciò che è contenuto in queste tracce, basti ascoltare la sublime “Porn Piece or The Scars of Cold Kissess”, una composizione in due momenti che si colloca all’apice del disco e che vi farà sembrare di camminare di notte per le strade desolate e piovose di una Oslo futuristica. Tutte le nove tracce di “Perdition City” sono comunque estremamente evocative e, come suggerisce la band, “This is music for the stations before and after sleep. Headphones and darkness recommended”. Certo, in tutta onestà Garm e soci non hanno inventato niente (i Coil sono venuti prima di loro, e così tanti altri artisti che si sono cimentati nell’impresa di ricreare mondi e sensazioni attraverso l’elettronica), tuttavia con la loro sensibilità sono riusciti a realizzare un album personale e in qualche modo nuovo.

“Perdition City” è un’esperienza, un lavoro che va ascoltato con la mente ancora più che col cuore, un piacere intellettuale, ma capace di toccare qualche corda primordiale. Se non disdegnate i lavori introspettivi date una possibilità a questo album, probabilmente rimarrete a vagare lungo le vie della città della perdizione per molto tempo.

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