A tre anni di distanza dal precedente “Jeanne D’Arc” tornano i Thy Majestie con un album che lascerà con l’amaro in bocca parecchi loro fans. Dopo aver rivoluzionato la line up e cambiato label i nostri se ne escono con un disco che si distacca nettamente dal metal epico e sinfonico che aveva caratterizzato il loro esordio e i successivi albums
e vanno a favorire un sound maggiormente corposo e compatto a discapito di quelle orchestrazioni che da sempre costituiscono il loro trademark.

Attenzione, la band non ha snaturato assolutamente il proprio modo di suonare, anzi si è evoluta verso nuovi orizzonti che ormai hanno poco a che vedere con il loro passato. Rimangono ancora i classicheggianti ed evocativi pianoforti, i continui cambi di tempo, le parti ochestrali ottimamente realizzate e suonate splendidamente (si veda l’intermezzo sinfonico della “Legacy suite”) ma al tempo stesso la band prova ad esplorare sentiri più heavy-oriented che hanno le chitarre come vero e proprio punto di riferimento. Non mi convince totalmente la prova di Dario Cascio alla voce, forse il peggiore cantante che la band abbia avuto fin’ora, tuttavia brani come l’opener “As you fall” e “The hunt”, la prima tipicamente power oriented mentre la seconda più vicina a goticheggianti sonorità, si rivelano assolutamente vincenti e parecchio accattivanti. Per il resto l’album suona in maniera abbastanza convincente nonostante quanto proposto questa volta dai Thy Majestie suoni come “già sentito”.

Insomma, “Dawn” riusulta essere abbastanza godibile ma alla fine non riesce a bissare il successo dei precedenti capolavori della band, in particolare lo splendido “The lasting power” che rimane l’album più bello di tutta la carriera dei siciliani.

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