Nati dalle ceneri dei defunti Empyrium, questo duo che risponde al nome di The Vision Bleak, giunge al primo full lengh, dopo un singolo, estratto sempre da questo album.
Per chi conosce gli Empyrium sa con quanta perizia, gusto e poesia venivano mescolati alla loro musica, e, anche se il genere è differente, questo gruppo porta molto su di sè il filo logico della band “madre”.

Introduzione di pianoforte, che cresce lentamente fino al climax corale e strumentale, aggiungendo qualche bella chitarra pesante, che precede la prima “vera” traccia, “the night of the living dead”. Attacco molto catchy, molto gothic quanto heavy, alternato a pezzi piu d’atmosfera, dove un cantato maschile che ricorda molto i Sisters of Mercy, si alterna ad una voce femminile molto soave e angelica. Il tutto è ben fatto, e un buon assolo chiude il pezzo, che nella sua semplicità strofa-ritornello-strofa-ritornello si pone come buona opener dell’album. Il secondo brano gia sembra portare su lidi piu ricercati, molto sull’orchestrale, che calca molto la mano sugli stacchi strumentali, per un connubio elettrico che funziona decisamente bene.
Se i pezzi precedenti si alternavano tra semplicità e sinfonia, il terzo brano, è un connubio tra le due idee. Mid tempo roccioso e ruffiano, buon cantato e buoni gli stacchi, in cui compare pure qualche vocalizzo femminile a completare il cerchio.
Il pezzo seguente “Elizabeth Dane”, è introdotto da un breve spoken word estratto da qualche film, che proseguirà per tutta la canzone come sottofondo, in un pregevole brano solo musicale, forse uno dei pezzi piu riusciti dell’album, dove il combo esalta maggiormente la componente epica e classica della loro musica. “Horror Of Antarctica” torna invece su lidi strettamente gothic,sulla scia di certi 69 Eyes dei primi lavori, incentrando il brano su un buon ritornello.
Tanto per rimanere in tema con l’album, ennesimo cambio di rotta, dove “The Lone Night Rider” si presenta come un lungo excursus su quanto il dark anni 80 abbia influenzato il gruppo, dai Sisters Of Mercy ai Bauhaus, il tutto smontato e rimontato in chiave metal. Penultimo pezzo prima della chiusura “The gran devilry”, pezzo dall’attitudine molto rockeggiante, con stop’n’go frequenti e indovinati, sempre nell’ottica gothic del gruppo.
Chiude il lavoro “Deathship Symphony” e sembra voglia farlo alla grande. Il brano parte in maniera strana, ricordando molto una qualsiasi opener da disco “Swedish metal”: batteria, chitarra, chitarra aggiuntiva, riff e partenza. Ma la direzione invece, sembra completamente diversa, dominata atmosfere plumbee, cori e sinfonie. Ma dovremo ricrederci, dato che quello che fino a un attimo prima sembrava lento e possente, viene preso e velocizzato in una cavalcata death/thrash (sinfonica, of course), memore di un Horror Metal molto in voga in un isola nord europea (leggesi Inghilterra e Cradle Of filth) ponendo fine all’album in maniera originale e quantomai curiosa.

Sintetizzando, è un buon album, che percorre sì terreni già molto esplorati ma con una giusta dose di personalità e varietà, che rende il tutto ben fruibile e gustoso.
Consigliato caldamente a tutti i “die-hard” fan di queste sonorità ed un buon disco per tutti gli altri.

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