La fiamma del progressive rock non si è mai spenta per gli appassionati di questo genere, neppure in un periodo come quello degli anni ’90 dove il dimostrare di saper suonare uno strumento a dovere era considerato come mancanza di attitudine. Nel sottobosco dell’underground questo genere ha quindi continuato a fiorire fino ad arrivare ai giorni nostri dove formazioni di tutto rispetto stanno riportando in auge il concetto più puro e legato agli anni ’70 di questo genere.
Così spuntano fuori gli esordienti Redzen, fautori di un prog rock strumentale miscelato a massicce dosi di fusion. Inutile dire che “Void”, primo parto della formazione, è un lavoro che mette in piazza una grandissima tecnica strumentale ed una confidenza con le non-strutture del genere che lascia impressionati. Le tracce sono di per sé piuttosto lunghe e ricche di arrangiamenti particolari, anche se il brano più riuscito è quello meno caratterizzante del sound del gruppo, cioè Alexa In The Cage, unico pezzo che incorpora anche una parte cantata.
Il vero problema di “Void”, tralasciando il fatto che si tratti di un disco di settore, è che non viene dato, a giudizio di chi scrive, sufficiente spazio alla chitarra, soffocata dalle tastiere anche quando ricama fraseggi solisti di indubbio gusto. Tale scelta, oltre a rivelarsi fuori dal coro e dai canoni stilistici del rock, toglie impatto ad un lavoro che altrimenti avrebbe tutt’altro spessore in quanto i momenti più veloci e tesi mancano di tiro.
Tralasciando tale particolare, il debutto dei Redzen è comunque un ottimo trampolino di lancio in una scena fatta per gli intenditori e speriamo che il quartetto riesca a farsi strada in quanto, non solo tecnicamente, ha tutte le carte in regola per poter dire veramente la propria. Sufficienza più che meritata, ora staremo a vedere i prossimi passi.

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