Il full-length che mi accingo a recensire oggi riesce a fare la sua porca figura solo ad averlo in mano, infatti l’artwork è ben curato e rilegato a dovere, sicuramente un’ottima presentazione da parte di questa band. Di chi stiamo parlando? Dei “Sinodik” ovviamente, band genovese death metal che con “Sequences for a New Matrix” sanciscono il loro definitivo debutto nel panorama musicale del metal estremo; dopo un demo uscito nel 2008  “Drown in Pain” e un singolo “Dehumanized”, riaprono di nuovo le danze in sede live dopo un anno di stop per la produzione di quest’opera. Il disco di debutto della band è prodotto da “Fabio Palombi” vocal dei “Nerve” nel MelaZeta Studios e masterizzato da Tommy Talamanca” chitarrista e tastierista “Sadist” del Nadir Studios. I scenari apocalittici con cui la maggior parte dei cd del genere si presentano agli amanti di questo sound, molte volte ipnotizzati davanti allo scaffale da un artwork della madonna ma che all’interno musicalmente è una merda, come acquistare un libro con una copertina spettacolare e scoprire che è scritto in turchemo, quindi non ci soffermiamo alle prime apparenze e ci scaraventiamo a colpi di spallate nell’ascolto di “Sequences for a New Matrix”.

Il lavoro comprende nove tracce di puro death nostrano, sound moderno quello dei “Sinodik” dove si fondono conoscenze musicali di grandi artisti del metallo pesante di ieri e di oggi, il tutto contornato dalla personalità strumentale di ogni singolo elemento della line-up, riescendo a contribuire a un sound unico come ogni singolo tassello di mosaico crea una figura, ogni singola linea di basso o riff di chitarra si fondendosi nella base di batteria scaturisce in una sola traccia musicale. Le lyrics sono elaborate e fantasiose e nel contempo dirette e aggressive. Il full-lenght inizia con la track “He came from the sky”, dove un growl deciso e aggressivo viene affiancato da apprezzabili riff di chitarra nella ritmica e un’ottima performance della batteria; l’assolo nella parte centrale del brano colpisce in pieno l’ascoltatore che già inebriato dai ritmi iniziali filtra un breve senso di spaesamento, risultante nell’apertura un assolo molto tecnico. “Purification from insanity” invece parte subito in  quarta, violenta e aggressiva, garantisce un sound da pogo assicurato, ma la parte che colpisce maggiormente nel brano non è quella più violenta; il genio strumentale si ha con la parte più lenta dove ritmi quasi trascendentali lasciano l’ascoltatore in uno stato di limbo di calma apparente prima dell’avanzata delle forze della distruzione. Così avviene: i lenti ritmi vengono spezzati scaraventandoti di nuovo nel regno terreno. “City of fallin’ rain” e “Speak to the void” alterna ritmi veloci con alcuni più lenti, ritagliando appositi spazi strumentali dove riff di chitarra bel studiati e ricchemente elaborati sono affiancati da linee di basso sicure e tecnicamente apprezzabili; la batteria rimane constante e non si  riscontra alcuna sbavatura nel sound, rimanendo decisiva e cattiva nelle giuste proporzioni. Da citare l’abbandono della voce in growl nella parte terminale di “Speak to the void” del cantante Matteo preferendo il cantato pulito. “Sinderal Month” il brano interamente strumentale si apre con un’ottima atmosfera di sottofondo, rilassante, che accompagnata dalla chitarra solista, introduce l’altra strumentazione, di grande tecnica strumentale; questo brano rimanda a grandi maestri dell’heavy classico non lasciando niente a quello che è l’impronta dura del loro death. Sinceramente nell’ascoltare la prima parte di “Headshot” mi è saltato alla mente alcuni brani thrash di vecchia data soprattutto per quanto riguarda i riff delle chitarre. Nel complesso si brano è strutturato molto bene, si riscontra un growl più deciso rispetto ai brani precedenti, “sicuramente molto più death” avrebbero detto alcune frange estremiste di puristi che annoverano questo genere.

“Dehumanized” un brano di grande impatto, sicuramente forgiata per garantire un violento mosh a chiunque avesse la possibilità di ascoltarla in sede live, garantisce adrenalina pura elemento fondamentale per una serata death degna di nota. Per quanto riguarda gli ultimi due brani “The colour out of space” e “Sequences for a new martix” possiamo solo dire che sono due brani che meritano senza trascurarli, perché in fondo alla lista, ma lasciamo che sia l’ascoltatore a valutarli a dovere. Inoltre se “Sequences for a new martix” conferisce il nome a questo full-lenght deve esserci un motivo. In ogni caso la band riesce a sfornare ottimi pezzi, riesce nella sua integrità a coinvolgere per tecnica o aggressività; è consigliabile a qualsiasi metalheads che apprezza molto la personalità strumentale e la conoscenza musicale nel sound elaborato nel death metal.

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