Gli Spock’s Beard sono stati per anni uno delle migliori realtà in ambito progressive rock, ma l’allontanamento del mastermind Neal Morse è stata sicuramente una mossa che ha lasciato il segno nella formazione americana, come lo è stata per la superstar-band (da me venerata) Transatlantic.

La partenza dagli SB di Neal non ha fatto sì però che il gruppo si sciogliesse, certamente il timore della mancante influenza del genio musicale di mr. Morse si avvertiva, come se nessuno potesse colmare il vuoto lasciato così improvvisamente dalla sua dipartita.

Tra quei fans che temevano la perdita dell’equilibrio all’interno degli Spock’s Beard (e il relativo scioglimento di essi) c’ero anch’io; già con l’ascolto del precedente album “Feel Euphoria” (2003) si sentiva pesantemente la mancanza del loro (ormai ex) leader…ma va detto: con questo “Octane” gli Spock’s Beard sono tornati!

Già grazie all’accattivante introduttiva traccia “The Ballet Of The Impact” (un po’ a la The Flower Kings ma con un chè di Karmakanic), si capisce che nell’aria c’è qualcosa di positivamente diverso (e molto atteso); la canzone (divisa in tre parti) si evolve in continui passaggi di mellotron, sintetizzatori, piano e splendidi interventi vocali risultando complessivamente una delle tracce migliori di questo “Octane”.

L’album non si fa mancare proprio nulla: canzoni dal sapore “retro” come testimonia “I Wouldn’t Let it Go”, oppure composizione più dure ed amare (“Surfing Down The Avalanche”) e ballate in classico stile progressive rock come la bellissima, ispirata ed emozionante “She’s Everything”, traccia dotata delle qualità necessarie per essere valutata come un sicuro highlight del disco.

Gli Spock’s Beard provano con questa ultima prova in studio che il progressive rock non è un genere basato unicamente su lunghe, intricate, tecnicissime canzoni (quindi spesso, se non troppo ispirate, risultanti estremamente noiose); la band infatti con questo “Octane” si è concentrata principalmente sulla forma-canzone, dandole la massima priorità, ragione per la quale non c’è modo di annoiarsi durante l’ascolto dell’album.

Ultima nota è un’attenzione speciale al lavoro dietro alle pelli di Nick D’Virgilio, ottimo drummer (rivelatosi anche un grande cantante ed interprete), che spinge il piede sull’acceleratore lasciandosi andare in tutta la sua variegata originalità.

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