Provare a scrivere di musica senza scadere nel banale impone, a chi si appresta a farlo, profondità, “gentilezza” nel rispettare il prodotto che si tratta e distacco da quella mera cronaca che tanto sa di promotional sheet. Quando, come nel caso di un disco come ‘Skid Row’, sull’oggetto trattato è stato detto tutto ed il contrario di tutto, dare una descrizione utile e personale dello stesso diviene più complesso ed impegnativo. Nel caso in cui, chi lo fa, è abituato a trattare generi completamente diversi ed il lavoro in questione costituisce l’unico pezzo hard rock della sua discografia, oltre a quanto già detto, si aggiunge anche il rischio di risultare impreparato, sciocco, ingenuo. Per chi scrive è così e, per quanto le regole del bravo recensore, impongano di inquadrare un lavoro in un contesto storico, musicale e di categoria, tutto ciò sarà scartato nelle righe che seguono. Perchè la musica è anche questo.

Impressioni ed improvvisazioni che viaggiano nella mente di un ascoltatore casuale che si appresta a parlare di un lavoro che, per lui, è ricordo, sensazione e affetto prima che storia, genere ed appartenenza. Quanto emerge dall’esordio degli Skid Row, per il sottoscritto, così come per chiunque altro si trovi ad assorbire ( e non solo ascoltare) il disco in questione, è nient’altro che “vita”. Quella vicina, vissuta e sudata di ogni giorno che, al di là di ogni retorica da tre lire, trasuda trasparente e genuina tra un riff ed un altro degli undici brani presenti all’interno del disco. Tutti potenziali hit in un lavoro che, già dal sound, appare usato ed usurato nel suo incedere brillante ma provato. Un’affermazione che, a chi non conosce il disco, può apparire contraddittoria e, a chi lo ha ascoltato, visionaria ma che è frutto di ciò che un’opera riesce a darti quando varca la soglia del capolavoro: ovvero proprietà di comunicazione, scambio, simbiosi. Si prenda, tanto per utilizzare un esempio, un brano stra-ascoltato, stra-inflazionato e stra-copiato come la ballad strappalacrime “I Remember You”. Per quanto sia difficile ricordare ciò che una canzone comunica per le prime volte a chi l’ascolta, in questo caso tutto è tanto immediato quanto naturale. Quell’incedere di cui sopra si presenta agli occhi di ascolta ogni volta che l’indimenticabile arpeggio da il via al pezzo. Da lì tutta una serie di sensazioni dettate da un’atmosfera quasi solenne e da parole che, in un contesto isolato, potrebbero apparire banali ma che qui materializzano scene, fanno vedere ciò che si ascolta e fanno sentire ciò di cui si parla. E’ così che, qualunque storia trattata all’interno del disco, assume indipendenza dalle altre ma riesce ad acquisire un forte livello d’intimità con chi l’ascolta creando un vero e proprio filo conduttore. Se il rock è anche sguazzare nello stesso sudore di chi ti è affianco, di chi suona, per il solo legame di essere tutt’uno con ciò che si sta ascoltando, allora questo, signori, è rock; dalla prima all’ultima nota. Immaginate un enorme ciclope dall’animo nobile ma dall’atteggiamento talmente energico da spazzare via tutto ciò che si trova davanti con ogni parte del suo corpo ed avrete ‘Skid Row’. Un disco semplice ma di qualità, costellato da una dolcezza da “broken heart” ma sempre incalzante, obbligatorio e da prendere come manuale quando, come troppo spesso si fa, si parla di spontaneità e naturalezza musicali.

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