Passare da una buona dimostrazione di gusto e semplicità ad un complesso saggio d’identità e maturazione musicale non è cosa da tutti. Gli Shank, nella transizione che li porta da ‘Sounds Of The Infected’ a ‘Create/Devour’, non solo ci riescono senza danni ma ci arrivano guadagnando punti e credibilità all’interno di una scena, come quella attuale, in cui occorre sgomitare con decisione per emergere sulla concorrenza.

Oltre ai gomiti, però, i quattro musicisti pugliesi riescono a tenere anche la testa alta per guardarsi allo specchio, con oggettività ed autocritica, e rimettersi in gioco attraverso una proposta mutata sia nello spirito che nella sostanza. Nei brani che corredano la nuova creatura discografica dei nostri, infatti, vengono messi da parte i gemiti e le melodie decadenti di un passato dal vago sapore “nu”, per dar spazio all’acida concretezza ed alla ruvida emotività dell’hardcore più intimo ed “essenziale” battezzato con l’appellativo (improprio?) di post-core. E’ così che le vecchie, e ben concepite, melodie non vengono messe da parte ma assorbite e mutuate nella nuova veste assunta dalla band leccese che, più che alla scostante immediatezza dei Deftones, preferiscono guardare agli assalti all’arma bianca dei Converge e più che a quella linearità che arriva preferiscono riferirsi ad un fare tanto asimmetrico ed obliquo quanto profondo che pare partorito da una jam tra Dillinger Escape Plan e Poison The Well. Tutto funziona alla grande nel momento in cui, con omogeneità, dedizione ed un’abilità sopra la media, si riesce ad interfacciare quella malinconia latente propria del genere, con un impatto ed una capacità di coinvolgimento davvero elevate. E’ così che il disco, tra sfumature che si confondono tra il rock malinconico dei ritornelli, l’hardcore stradaiolo delle strofe, le influenze metal tra le righe che affilano ed induriscono la lama della proposta, piace e si lascia ascoltare senza mai perdere né mordente né identità. Ogni strumento appare al suo posto, ogni elemento equilibrato e studiato per rendere il giusto gioco di luce nei chiaroscuri offerti da un album che merita qualcosa in più di una chance sia da chi è appassionato del genere sia da chi potrebbe anche lontanamente trovarlo interessante. Gli unici demeriti degli Shank sono quelli di non godere di una produzione a cinque stelle, di essere nati a Lecce e non a Boston e di avere immensi margini di miglioramento che non consentono ancora di renderli perfetti. Nessuna colpa, bensì nei trascurabili in un mare di violenta e positiva negatività musicale tutta impegno ed umiltà. Applausi ed orgoglio!

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