Quando ti arriva (anzi, ti compri) il nuovo album di una grandissima band che già ami per i passati lavori, com’è capitato a me con questo Vapor Trails, è sempre difficile dare un giudizio obiettivo e spassionato.
I Rush li ho scoperti relativamente poco tempo fa, ma non conta. E’ passato infatti circa un anno da quando convinto da molti consigli comprai lo straordinario Moving Pictures. Da allora ho completato all’incirca metà della loro – lunga ed importante – discografia.
Purtroppo mi mancano ancora buona parte degli album dei ’90, così mi rincresce ma non posso fare troppi confronti col sound dei lavori immediatamente precedenti. Ma intanto, conoscendo il trio canadese, ciò non è necessario più di un tot, visto le svolte stilistiche che hanno avuto in passato.
Perchè se non lo sapete i maestri canadesi ogni 4 album da studio, cambiano quasi in toto le sonorità proposte, salvo tenere sempre una matrice fissa (su tutto la voce unica di Geddy e l’altrettanto unico stile di basso) che te li fa riconoscere lontano un chilometro.
E Vapor Trails è il loro diciassettesimo album.
Ormai vi sarete incuriositi e vorrete sapere se dopo 30 anni di carriera abbiamo ancora una band in forma oppure la vena creativa in questi tre mostri sacri si è del tutto esaurita. Beh, la risposta buona è, a prescindere da tutto, la prima.
Si perchè i nostri ci presentano un album di rock assolutamente moderno ma nel loro stile, senza mai “cadere” in sonorità da rock alternativo americano, genere che sembra tirare tanto in questo periodo. Eppure, ripeto, suona dannatamente moderno. Il buon Alex usa un’infinità di suoni durante queste 13 canzoni, e tutta la produzione risulta dannatamente pulita e moderna, dando così a tutto l’album un senso di solarità e freschezza che fa ben sperare per lo stato psicologico dello sfortunatissimo Neil (anche se il booklet sembra un po’ mostrare il contrario..).
Sempre a proposito di Peart, il suono di batteria è molto netto e chiaro, e l’esecuzione mai sopra le righe. Questo è fondamentalmente un pregio, specialmente in un album come Vapor Trails, anche se qualche fill maggiormente ricercato non avrebbe di sicuro guastato.
Nulla, ma proprio nulla, da eccepire sul lavoro al basso di Geddy Lee. Perfetto, puntuale, divertente da seguire nei suoi onnipresenti giri di basso. In una parola: magnifico.

Parlando più in particolare del nuovo lavoro posso dire che fino a metà tracklist l’album è assolutamente delizioso. Su tutte svetta la title-track che è quasi già diventato un classico. Anche l’antecedente How it is è in pieno stile Rush, con rimando a sonorità del passato. Assolutamente moderna e con un riff che induce quasi all’headbanging è invece Peaceful kingdom.
Dei giri di basso ne abbiamo già parlato, andate a sentirvi in cuffia pezzi come One Little Victory, Ceiling Unlimited o la suddetta Peaceble Kingdom e ve ne accorgerete anche voi. Magari non saranno il non plus ultra della tecnica, non ho basi tecniche per affermarlo, ma il feeling che sanno comunicare è qualcosa di splendido.
Purtroppo la seconda metà del disco risulta invece un po’ prolissa, sebbene contenga ottime parti in alcune canzoni (Nocturne e Freeze, ad esempio).
Questo è comunque l’unico grosso difetto presente, che porta di conseguenza anche ad una non immediata digestione del lavoro svolto dai Rush. In questo l’essere un loro appassionato mi ha aiutato, “obbligandomi” a risentire Vapor Trails diverse volte prima di esprimere un giudizio, e permettendomi di apprezzare appieno i numerosi momenti positivi presenti.
Tirando le somme, è un album sicuramente degno di nota e non condivido affatto l’opinione di chi ha parlato di flop o di album noioso e privo di idee. Non si può comunque nemmeno parlare di capolavoro o di album fondamentale nella discografia dei Rush: è una via di mezzo.
Una via che comunque mi sento di consigliare a tutti gli amanti del rock più fine e alla ricerca di qualcosa di più concreto del solito rock passato in radio.

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