I Roswell Six sono molto più di una band: si tratta di un progetto messo in piedi grazie alla collaborazione di due scrittori di fantascienza (Kevin J. Anderson e Rebecca Moesta, autori di numerosi libri ispirati anche a Guerre Stellari, Dune, Starcraft e così via), la ProgRock Records e, in questa specifica uscita, Henning Pauly (Frameshift e mille altri). Tale cooperazione porterà alla composizione e pubblicazione di una trilogia di album di cui “A Line In The Sand” rappresenta il secondo capitolo, preceduto un anno fa da “Beyond The Horizon”. Fatti un po’ di cenni biografici, entrare nel merito di un disco del genere è sempre complicato perché parliamo appunto di un progetto che raccoglie tante personalità estremamente differenti, il che implica tanti modi di interpretare le medesime linee, talvolta magari un po’ fuori contesto. Fortunatamente non è questo il caso dei Roswell Six, visto che riescono nell’impresa di confezionare un album molto valido, anche se non superprodotto come potrebbero essere gli Ayreon, per fare un paragone.
In effetti all’interno di “A Line In The Sand” manca quell’alone di teatralità che caratterizza questo tipo di uscite discografiche, quell’atmosfera tipica delle opere rock e delle storie a sfondo fasy o fantascientifico. Tale mancanza si ripercuote in parte sul risultato finale, il quale ne esce leggermente mutilato, ma non compromesso visto che il valore delle composizioni è comunque altissimo e canzoni come la conclusiva “Victory” o lo strumentale “Battleground” lo testimoniano alla perfezione.
Per chi ama il progressive rock con frequenti spruzzate di metal, un album come quello dei Roswell Six non deve farselo mancare, per gli altri è un buon modo per avvicinarsi alle opere rock. Stia alla larga chi ama ascoltare una canzone per volta perché in questi casi i brani hanno senso solo nel loro insieme ed estrapolarli dal contesto non renderebbe loro sufficiente giustizia.

A proposito dell'autore

Post correlati